torna Anita Nair con il custode della luce
Un tempo in India nella città di Thirunavaya si eleggeva lo Zamorin del Kerala durante il Mamangan, grande festa che si svolgeva ogni dodici anni. Ma tra gli Zamorin e i Raja di Valluvanad a un certo punto scoppiò una controversia su chi dovesse presiedere al Mamangan. Finché un Raja non mandò una squadra di Chaver, guerrieri suicidi, a uccidere lo Zamorin anche a costo della vita. E’ all’interno di questo contesto storico che Anita Nair pone la storia che ci racconta in Il custode della luce nella traduzione di Francesca Diano ed edita da Guanda. Ci trasporta magicamente con la sua scrittura intensa e pulsante di vita nel secolo XVII, proprio durante una delle rituali imboscate dei Chaver allo Zamorin in carica.
Come prevede il rituale i guerrieri votati alla morte verranno uccisi, verrà loro tagliata la testa e gettati in una sorta di tomba comune dove già giacciono quelli che li hanno preceduti. A questa cruenta tradizione assiste Idris, mercante di religione musulmana di origine somala con un occhio d’oro smaltato che manda bagliori di luce sotto i raggi del sole. Idris incontra un ragazzo di nome Kandavar della casta dei Nair e capisce subito che è il frutto di una notte d’amore vissuta tanti anni prima con una ragazza indu. E qui la scrittrice ci mostra come subito nasca un legame affettivo tra i due, anche se Kandavar non sa che il mercante è suo padre. Questi farà di tutto perché suo figlio ami e apprezzi la vita e non continui la terribile tradizione a cui sarebbe votato essendo della casta Nair. E cosa meglio di un viaggio insieme, per conoscersi e tentare di sottrarlo a quello che sembra essere il suo destino.
Questa avventura per mare e per terra diviene per il ragazzo una sorta di viaggio di formazione, durante il quale incontreranno una variegata moltitudine di individui: altri mercanti, i “bania” cioè banchieri, imbroglioni, pescatori, truffatori, minatori ecc. L’intensa ed emozionante scrittura della Nair, che trova fertile terreno nella traduzione della Diano che pare avere un particolare rapporto con la lingua della scrittrice, ci fa conoscere la vita dei pescatori di perle, dei minatori che scavano nella terra per trovare diamanti facendo arricchire chi li ha ingaggiati. I rituali propiziatori, le tradizionali usanze indu, sono raccontati con dovizia di particolari così da rendere queste pagine tra le più belle ed emozionanti, insieme all’incontro tra Idris e Thilothamma. L’amore che li unirà metterà il mercante somalo «eterno viaggiatore alla ricerca dei confini della terra e dell’uomo» davanti a un bivio: andare o finalmente fermarsi per vivere con l’unica donna che sia riuscita a fargli provare amore vero e totale. La descrizione della loro passione merita un plauso, poiché è uno dei passi più riusciti e coinvolgenti del romanzo. La Nair è maestra nella narrazione di passioni ed emozioni senza tempo: ecco perché questa India del seicento, oramai scomparsa, ci sembra attuale e palpitante di vita.
Grazie Anna della splendida recensione che vedo solo oggi e delle belle parole per il mio lavoro!