Brutti tempi per i Sindaci

15 novembre 2014 di: Simona Mafai

Alti e bassi nell’indice di popolarità dei Sindaci.

Per un certo periodo essi godettero del massimo favore,  come emblemi della democrazia diretta.

Da qualche mese però le cose sono cambiate, anzi: si sono totalmente rovesciate. I Sindaci sembrano essere diventati i capri espiatori di tutto ciò che va male nel paese. Casi estremi: la rivolta degli elettori contro i Sindaci di Genova e Massa Carrara, dei quali la folla urlante ha chiesto le dimissioni. Critiche fortissime sono state espresse anche al Sindaco di Milano, sia per i fatti dell’Expo sia per lo sgombero delle case popolari occupate abusivamente. Altrettanto violente le critiche ad Ignazio Marino, Sindaco di Roma,  per la situazione nel quartiere di Tor Sapienza, oltre che per la ridicola vicenda di una Smart rossa irregolarmente posteggiata.

Dimissioni, dimissioni immediate per tutti!

Anche dando per scontata la non totale spontaneità delle manifestazioni ostili, e pur   tenendo presente   la gravità di alcune motivazioni di queste rivolte,  colpiscono il rapido disamore e la totale disistima verso il proprio sindaco, manifestati  da cittadini,  molti dei quali lo avevano eletto pochi mesi prima. I Sindaci infatti, come si sa, non sono imposti da nessuno,  ma vengono selezionati dai cittadini stessi  e per ben due volte: prima con le “primarie” , poi con le votazioni  ufficiali.

Il fatto è che si elegge colui, o colei, cui spetta di dirigere e rappresentare la città, e poi non lo si  segue, non lo si consiglia, non lo si controlla. Non lo si difende anche, se necessario, da attacchi a volte strumentali e ingiusti. I Sindaci eletti sono dimenticati nei loro palazzi, apparentemente potenti ma in fondo soli  di fronte ai crescenti e drammatici problemi di oggi. Essi dovrebbero invece essere  tallonati e sostenuti da coloro che li hanno eletti, che potrebbero raccogliersi in gruppi di riflessione ed azione, costituendo legami vivi  e costanti tra l’istituzione e la comunità. (Ma anche i Sindaci dovrebbero  favorire queste buone pratiche!).

Era questo un po’ il ruolo dei (bistrattati) partiti, che  – con le loro sezioni e circoli territoriali – svolgevano alla meglio (oltre a compiti più generali)

una  funzione che audacemente chiamerei di “difesa idrogeologica”,   nei confronti dei problemi difficili e difficilissimi emergenti dai territori,  che potevano sfociare (come a volte è accaduto) in rivolte e proteste violente della popolazione,  ma che si cercava di incanalare in forme democratiche  di  critica, confronto e proposta.

Oggi invece non  c‘è nulla che possa frenare l’esondazione.  Non restano  che  brontolii diffusi, proteste rabbiose, convocazioni improvvise lanciate sulla rete,  grandi raduni che richiamano l’attenzione  di stampa e TV, e poi rapidamente si esauriscono. Nulla di solido, continuativo, costruttivo.

Nulla che contribuisca a quella democrazia diffusa, partecipata e vitale, di  cui l’Italia ha  bisogno.

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