donne in nero

7 novembre 2014 di: Marina Gasperini

Durante un recente viaggio in Turchia ho passato la maggior del tempo ad indignarmi per tutte quelle donne in burka nero per strade e in albergo. Piuttosto che comprensione e solidarietà, provavo diffidenza, se non proprio una sorta di repulsione atavica.

Che l’uomo nero, spauracchio della nostra infanzia, fosse in realtà una donna? Poi, un giorno, ho preso l’ascensore con quattro donne in nero, burka integral, che lasciava appena intravedere gli occhi. Mi hanno salutato e, in un inglese dalla pronuncia piena di sole, mi hanno invitato a fare colazione al loro tavolo. Vincendo la mia reticenza, ho accettato. Ci siamo sedute e abbiamo cominciato a parlare, come se ci conoscessimo da tempo. Ho confessato i miei pre-giudizi nei loro confronti, facendole ridere di cuore. Ci siamo presentate. Poi mi hanno mostrato il loro viso e, scherzando, mi hanno chiesto se pensavo che si coprissero forse per nascondere la loro scarsa avvenenza. Abbiamo continuato a ridere, ma tra il serio e il faceto mi hanno detto che in Arabia Saudita la burka non è un’opzione, bensì un obbligo difficilmente discutibile. Ho replicato che anche noi donne occidentali abbiamo un obbligo, quello di essere attraenti e rimanere sempre giovani. Ho aggiunto che a volte anch’io vorrei indossare la burka per nascondere i capelli in disordine, con la ricrescita bianca, e un fisico non più propriamente perfetto. E di nuovo giù a ridere. Ma quel nostro ridere tradiva la consapevolezza che le donne in nero e le donne in leggings sono due facce della stessa medaglia, quella della sottomissione della donna ai canoni morali o estetici di una società che impone loro un’immagine, senza tener conto, la maggior parte dei casi, del loro diritto a definirsi come esseri umani. Se per Eric Fromm si tratta di scegliere tra l’essere o l’avere, per le donne, prigioniere tuttora di un ruolo imposto, sante o cortigiane, il dilemma è ancora essere o apparire/non apparire.

7 commenti su questo articolo:

  1. laura scrive:

    E’ molto ovvio ed anche un po’ superato eguagliare il loro abbigliamento con i nostri belletti e il nostro seguire la moda, se vogliamo noi possiamo non farlo loro devono, butta via un rossetto e sarai più semplice, butta via il velo e sarai in prigione

    • Marina scrive:

      Certo è ovvio e superato il paragone, perché la sottomissione della donna non data da ieri. Certo che si può abbandonare il rossetto per sentirsi più semplici, ma è meno facile abbandonare un uomo possessivo per sentirsi più libere.
      Finché la donna non sarà unica padrona del suo destino, al di là di ogni condizionamento, si rischiano paragoni “ovvi” ma purtroppo non “superati”.

  2. Rita scrive:

    E se a tutte, occidentali, africane, asiatiche o arabe, si imponesse una maschera comune, chiamata Anonima?
    tu chiamalo , se vuoi, futuro….!

  3. Clara scrive:

    Interessante e triste riflessione sulla condizione della donna di qualsiasi appartenenza culturale e localizzazione spaziale.

  4. Ornella Papitto scrive:

    Grazie Marina, ho trovato lieve e profonda la tua riflessione. Per nulla ovvia.
    Una riflessione ha l’obiettivo di invitare chi legge a formulare altre riflessioni.
    L’incontro tra due mondi femminili solo apparentemente differenti, in cui le donne si scambiano sguardi, parole e condivisione.
    Due mondi femminili prigionieri della sottomissione, la prima imposta, la seconda autoimposta senza consapevolezza.
    È lì, in quell’”area grigia” che dobbiamo soffermarci a riflettere.
    Perché ancora, dopo l’emancipazione femminile, le donne occidentali hanno dentro di loro il verme della sottomissione?
    … Sarà, per caso, a causa della “mela” del peccato originale?

  5. stefania scrive:

    nel 1979 ho trascorso una lunga vacanza in Turchia. Avevo solo 25 anni, lavoravo da 2 anni. Sono partita con il mio ragazzo di allora e altri amici. Avevamo (io e una mia amica) una certa apprensione. Motivo? i racconti sulle” donne occidentali rapite” in Turchiaecc.ecc. Il viaggio è stato magnifico e la paura è subito scomparsa. Uno dei ricordi più belli è stato l’incontro con le persone. Certo era più facile parlare con gli uomini che con lde donne, ma le donne c’erano e non si nascondevano dentro nessun burka. Nelle grandi città (Istabul), vestivano come tutte le donne occidentali, truccate o no, con minigonna e pantaloni o no. La meraviglia erano i vestiti delle donne di campagna. pantaloni e camicie colorate, fazzoletti a fiori portati come si portano da sempre i propri capelli. Ritornata per pochi giorni 9 anni fa, sono rimasta sorpresa nel vedere tante donne con il burka o simili. Non so se siamo ancora dentro al peccato orignale o se l’emancipazione è la tanto decantata finalità di noi donne. Sicuramente non tutto è dato per scontato una volta che si sono affermate alcune trasformazioni. Il rossetto si può mettere anche dentro il burka, ma altro è scegliere se metterlo o no alla luce del sole.

  6. Ornella Papitto scrive:

    Stefania, dovremmo ripensare il processo di emancipazione in Italia e nei paesi medio-orientali.
    I risultati non sono stati così travolgenti, come tu hai testimoniato. Donne posizionate in … Serie B. Donne che devono ancora lavorare tanto per la parità dei diritti e non per la parità di genere che, invece, ci ha portato tutte fuori strada…
    Penso proprio che questo sia il luogo appropriato. Approfittiamone.

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