Il silenzio delle donne

30 novembre 2014 di: Simona Mafai

Tra le confuse misure del “Patto di stabilità”, votato in questi giorni dal Parlamento,  vi è quella di assegnare un “bonus”  mensile di 80 € ad ogni nuovo nato, o nuova nata, che appartenga a un nucleo familiare con reddito annuo  inferiore a 25.000  € .  E’ una misura, per quanto modesta, assolutamente innovativa – perché riconosce come “soggetti” gli stessi neonati.  Esso costituirà un piccolo aiuto continuativo, particolarmente prezioso  per  tante madri  single.

Il Sindacato ha fatto un’osservazione un po’ sciocca: i soldi si sarebbero dovuti destinare, non ai singoli neonati e alle loro madri, ma ad aumentare  il numero degli asili-nido. Ma i gli stanziamenti per gli asili nido, che devono essere garantiti ed aumentati (il che pare sia previsto in altra parte della Legge di stabilità) prima di diventare direttamente fruibili dai bambini e dalle loro madri, devono attraversare una serie di adempimenti/strettoie che ben conosciamo: il bando per la costruzione dei nuovi asili, l’ acquisto degli arredi, la selezione del personale, e così via. Mentre è proprio il sostegno immediato e diretto alle madri e ai neonati la caratteristica nuova, e assolutamente positiva,  di questo provvedimento. (“Pochi, maledetti e subito”, si sarebbe detto una volta).

Altra questione. Negli annunci governativi è definito un altro intervento  a favore delle donne: garantire a tutte le lavoratrici, comprese le immigrate e indipendentemente dai tipi di contratto e rapporto di lavoro, il congedo di maternità. Ottima cosa. Ma bisogna definire subito attraverso quali modalità   questa garanzia verrà assicurata; e pretenderne l’applicazione da subito. .

Si dirà:  sono interventi a favore  non tanto delle donne, ma della crescita della natalità. Certamente, è un po’ così. Ma essi meritano  ugualmente approvazione e controllo sulla loro applicazione. E certamente non hanno minore dignità di altre misure richieste dalle organizzazioni sindacali, per questa o quella categoria di lavoratori o pensionati. .

Chissà perché le associazioni femminili, e i movimenti di donne in genere, non parlano di questi (parziali, come tutti!) provvedimenti. Ancora una volta, mi pare, prevale tra le donne il senso di appartenenza a questa o quella  categoria sociale, più che una forte coscienza del proprio essere donne, con particolari e precisi diritti (e desideri) da tutelare. .

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement