la storia di uno, la storia di tutti
Interessante e umanamente coinvolgente il nuovo libro di Angela Lanza: “La storia di uno è la storia di tutti” edito da Icobelli e arricchito dalle testimonianze della psicoterapeuta Enza Malatino e del professore Fulvio Vassallo Paleologo, nonché dalla Carta di Lampedusa. Il libro tratta degli sbarchi a Lampedusa dal 2001 al 2011, senza naturalmente tralasciare il drammatico naufragio del 2013 con più di trecento vittime. La parte più toccante del libro è quella in cui la psicologa Enza Malatino, a Lampedusa dal 2001, racconta dei gruppi di ascolto da lei formati per far sì che queste persone bisognose di tutto trovassero anche un conforto morale e psicologico, potendo palare liberamente delle loro tragiche storie. Dopo la cosiddetta “Primavera dei gelsomini” nel 2011 arrivarono sull’isola ben settemila persone, cioè duemila in più della popolazione di Lampedusa. Le emergenze sanitaria e di sicurezza toccarono livelli di guardia insostenibili, ma ciononostante i lampedusani si dimostrarono accoglienti con questa gente costretta a cercare la salvezza affrontando il mare su vecchie carrette inaffidabili, e pagando grosse somme agli scafisti senza scrupoli.
L’insicurezza nei propri paesi di origine e la povertà spingevano queste persone, anche molti minori, a viaggi attraverso l’Africa e il deserto per giungere sulla costa libica anche dopo due o tre anni, e dopo aver subito violenze di ogni tipo, per le donne lo stupro era quasi la norma. Nei gruppi di ascolto della Malatino non senza problemi e reticenze tutto ciò prendeva forma nei racconti che le facevano. Un giovane palestinese iscritto alla facoltà di ingegneria, fuggito perché al suo paese non avrebbe mai potuto esercitare la professione di ingegnere, così le dice: «Io sono qui e in questo momento non riesco a credere di avere la possibilità di parlare…Per me è come stare in un film, non riesco proprio a credere che ci sia una persona che si occupa di noi, che perde il suo tempo per sentire le nostre storie…».
Una delle parti del libro certamente più interessante è quella su coloro che lucrano sulla pelle di queste persone. Scrive Angela Lanza che dopo i soldi dati a Libia e Marocco perché li respingessero, dopo aver gonfiato i portafogli dei “professionisti dell’accoglienza”, questi migranti diventano facile preda dei “caporali” che li “arruolano” per i lavori più faticosi e sfruttati in campo agricolo. I bambini proprio perché di piccola statura vengono impiegati nelle serre di pomodorini, alte appena 80 centimetri. Il tutto naturalmente in nero. Ma ci sono pure storie più positive. Come quella di Fatha, fuggito dall’Etiopia e ora residente a Palermo dove lavora all’ambulatorio di Emergency. Altri come Isoke cercano invano di ricreare qui l’atmosfera dei loro villaggi africani, naturalmente senza riuscirvi in pieno e conclude: «Non più la cultura autentica africana, ma nemmeno si abbraccia quella italiana…Gli africani imparano quello che c’è di peggio qui…». Chiudiamo con un parallelo che fa giustamente l’autrice: quello tra le migrazioni odierne di queste masse di disperati e le migrazioni di noi italiani, e soprattutto siciliani, in tempi passati e ormai dimenticati, volutamente. I nostri migranti non erano meno disperati di questi, ma chi vuole cacciarli o emarginarli in ghetti urbani e suburbani preferisce dimenticare il passato.