leggendo Murakami
Si parla e si scrive, come non é mai accaduto nella storia dell’umanità, grazie alle opportunità offerte dai moderni mezzi di comunicazione e così, il linguaggio, sia parlato che scritto, anche se si evolve rapidamente, é continuamente sottoposto a test impegnativi sulla sua potenza espressiva.
Mentre la parola trova vari supporti, dalla gestualità alla mimica, o anche solo negli sguardi, come dice Canetti il gioco degli occhi, la scrittura, ha meno supporti collaterali e si affida esclusivamente all’abilità dello scrittore.
Inoltre, il passaggio dalla parola orale a quella scritta le fa perdere la connotazione di genere e così è difficile, leggendo, a prescindere dai contenuti, capire se l’autore è un uomo o una donna, con ulteriore difficoltà ad inquadrarne la personalità.
Questi limiti espressivi – gli statistici li chiamerebbero bias – incidono sfavorevolmente sulla capacità di trasmettere al lettore i pensieri e le emozioni dello scrittore, anche se l’abilità, l’estro e l’ispirazione li compensano, a volte, largamente. Tuttavia anche qui possono intervenire supporti. Le citazioni musicali sono frequentissime, tanto che viene il sospetto che sia diventata una moda, ma il problema di accostare due linguaggi, le parole e la musica, anche se molto affini ma con canoni totalmente differenti, rende poco probabile che il lettore, pur ascoltando la musica citata, condivida gli stessi momenti emozionali dell’autore.
In questa prospettiva la trovata di Haruki Murakami di utilizzare i colori, come ha fatto nel suo ultimo romanzo L’incolore Tazuki …, non è una bizzarria ma é come se egli non ritenesse il linguaggio scritto sufficiente ed adeguato a descrivere la realtà ed i sentimenti che vuole rappresentare. Malgrado le accurate e puntuali descrizioni del quotidiano le escursioni in mondi fantastici, come in Kafka sulla spiaggia, o in universi paralleli, come in IQ87, sembrano necessarie allo scrittore per descrivere al meglio tutto il vissuto interiore dei suoi personaggi; adesso è il colore che contraddistingue le caratteristiche salienti del carattere dei protagonisti. I loro colori sono insiti nei loro cognomi e, come il Dna, ne determinano le personalità: il rosso e il blu per i maschi e il bianco e il nero per le ragazze e l’assenza di colore per il protagonista Tazaki.
Sicuramente Murakami conosce l’impatto emozionale dei colori – il rosso, per esempio, nelle tavole del Rorschach, famoso test proiettivo della personalità, è capace di indurre risposte che sono identificate come “shock colore” – e lo utilizza con maestria nella descrizione dei personaggi. La grande libertà nell’utilizzare la musica, il mondo magico, i colori, possono essere indicativi di una personale rielaborazione della letteratura europea e dell’allargamento degli orizzonti delle tecniche di scrittura, ma può anche soddisfare un’esigenza interiore che ancora Murakami non ha completamente esplorato o, comunque, non è riuscito a portare in maniera esplicita e compiuta a livello di coscienza. In questa chiave di lettura la quasi ossessiva descrizione degli ambienti e delle persone, alla continua ricerca della razionalizzazione e della convincente illustrazione delle motivazioni per rendere coerente il racconto, diventa un’abile copertura di un bisogno interiore che poi esplode nella musica, nel colore, nella fuga in un mondo irreale. E’ interessante seguire questo cammino e chiedersi quale sarà l’ulteriore evoluzione.
Nella descrizione del quotidiano, Murakami insiste spesso nella descrizione del cibo e delle bevande. Nel prossimo romanzo vi sarà spazio per gli odori e i sapori?
Non amo Murakami perchè mi appare un cercatore di razionalità, un nemico dell’emozioni, questo articolo su di lui mi da un’altra chiave di lettura che mi spingerà a rileggerlo, magari il prossimo libro con odori e sapori mi darà meno il senso di gelo che mi comunica.
E’ uno scritto raffinato e acutamente e, accuratamente, è analizzato lo scrittore Murakami che ormai consolidato in tutto il mondo in Italia è considerato solo per raffinati lettori. Questo scritto dimostra forse che è solo per lettore coltissimi, che si intendono di tutto, indubbiamente è ben articolato e spinge a leggere se ancora non lo ha fatto lo scrittore.
non amo l’autore ma il modo di penetrare nel mondo di Murakami da parte della giovane Cristina mi piace, penso sia giovane per il suo entusiasmo.
Sono un lettore appassionato, trovo Murakami un autore per vecchi saggi per la sua mancanza di emozioni. Io non ho ancora la tarda età ma la recensione di Cristina mi spinge a rileggerlo.
Che Cristina Di Vittorio sia giovane d’età o giovane nello spirito mi sembra secondario davanti ad una recensione così ben strutturata. Di sicuro mette una grande voglia di conoscere questo scrittore che fino ad ora, non so neppure il perchè, non ho letto. Trovo difficile entrare pienamente nel mondo letterario orientale ma tanto di cappello a Cristina perchè è riuscita in questa impresa.