l’imprenditore Serra e il diritto di sciopero

21 novembre 2014 di: Gilda Bambocci

Chissà cosa penserebbe Davide Serra se mi vedesse in faccia. Io, Gilda Bambocci, disoccupata istruita quasi cronica, espulsa irrimediabilmente dalla giovinezza e, di conseguenza, dal mercato del lavoro. Lui che ha utilizzato il suo tempo al meglio e che oggi ha una posizione tale da potersi permettere di suggerire a un premier di sinistra (forse) di limitare il diritto di sciopero nel pubblico impiego. Che emozione sarebbe conoscerlo insieme a Marta, Tizio, Caio, Sempronio e Filano, intervenuti alla Leopolda per pubblicizzare riforme che consentiranno un rinnovamento radicale del nostro Paese.

Perché dico questo? L’altra notte ho sognato di fare il mio ingresso ai lavori della convention organizzata da Renzi, mortificata e compatita da occhi che provavano pure un certo fastidio perché, diciamolo, c’è precaria e precaria. C’è chi ha ottenuto incarichi di prestigio, sebbene a tempo determinato, dandosi da fare e praticando le arti del conoscere, avvicinare, socializzare, inseguire e potrei continuare. O chi ha ottenuto questi incarichi perché, effettivamente bravo o brava, prova un certo gusto nel nuotare senza il salvagente del posto fisso. La rete di “protezioni sociali costruite dal basso” in modo personale e familistico o le competenze acquisite a suon di soldini e tasse universitarie, aiutano molto a fare della flessibilità un’esperienza che arricchisce anziché impoverire. E poi ci sono io, che non eccello nel socializzare e non brillo per bravura o determinazione. Io, che vorrei lavorare lo stesso e che ad oggi non riesco a farlo e che chiedo a chi è riuscito a prendere il treno di rallentare la corsa, non di scendere. E poi c’è chi è talmente bravo, capace ed onesto da risultare scomodo e da essere licenziato per questo, a salvaguardia della mediocrità di quelle stesse reti alla base del successo di molti.

Non sono la prima, né la più autorevole, a dire che i diritti sono una coperta che protegge dalle intemperie sociali e dal freddo di una condizione non sicura. Caro Renzi, quando il presente è freddo e il futuro avvolto da una fitta e quasi impenetrabile coltre di nebbia, la coperta si dovrebbe allargare, non restringere. Altrimenti, in tanti rimarremo scoperti e anche chi oggi dorme sonni caldi e tranquilli potrebbe imbattersi nella scomodità di un piede al gelo o nella più grave condizione di attaccarsi al piccolo lembo di un plaid (visto che in politica siamo diventati anglosassoni) sempre più infeltrito. Che dirti, ancora? È vero che il lavoro fisso non esiste più, ma non ti fissare sull’articolo 18 e cerca di capire meglio noi, che procediamo nell’incertezza.

2 commenti su questo articolo:

  1. rita scrive:

    il problema non è quello di ciò che serve, secondo me, ma di trovare le risorse, i soliti maledetti soldi,
    quelli che sono finiti nelle mani dei mazzettari, quelli che per decenni hanno aiutato gli imprenditori quando
    non riuscivano nelle loro imprese, quelli che pagano le pensioni d’oro dei manager.
    Chi avrà mai il coraggio di andarli a prendere?

  2. Ornella Papitto scrive:

    Gilda, ottimo articolo. Fa riflettere molto sul l’obiettivo dei mandanti di Renzi, nel mantenere nella precarietà, insicurezza ed incertezza, milioni di giovani e meno giovani. È una politica ipocrita e vigliacca e tratta i giovani come carne da macello delle loro aziende. Più la persona non ha certezza e più scenderà a compressi. Detesto l’approccio di Renzi e le sue politiche falso-riformiste. La sinistra continua ancora a essere latitante, come in questi ultimi venti anni e lui ha colto la palla al balso. È stato il partito democratico che gli ha lasciato il campo libero. Si interrogassero!

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