ritratto di un poeta favoloso

2 novembre 2014 di: Rossella Caleca

Anni fa misi in mano a mio figlio quindicenne le “Operette morali”, dicendogli: «leggile ora, prima che a scuola te le facciano odiare». Sbagliavo due volte: perché un’ottima insegnante seppe stimolare e accrescere in lui la voglia di leggere e approfondire autori di ogni epoca, e perché nessun adolescente, nessun giovane, potrà mai non amare Leopardi; ed anche noi lo abbiamo amato, nonostante nei testi venisse spesso rinchiuso e semplificato, come a spiegare tutto, nella bolla del pessimismo cosmico. Perché Leopardi incarna tutte le passioni, le angosce, gli entusiasmi e la ribellione della gioventù: poeta non meno ribelle di Rimbaud o Jim Morrison o Kurt Cobain, in direzione ostinata e contraria come De Andrè rispetto alla retorica delle «magnifiche sorti e progressive» di cui era intrisa la società del suo tempo; giovane che dice con parole inarrivabili la solitudine di chi odia «la vile prudenza che ci agghiaccia» e insieme il desiderio, l’inarrestabile fame di vita.

Tutto questo ci restituisce lo splendido film di Mario Martone, dal titolo ”Il giovane favoloso” (sintesi perfetta dovuta alla penna di Anna Maria Ortese) ripercorrendo la vita e le passioni del poeta, interpretato da un Elio Germano per la cui bravura non trovo aggettivi, e narrandola con le parole che ha detto e con quelle che avrebbe potuto dire, attraverso le complesse, contraddittorie relazioni col padre, i fratelli, gli amici, le donne amate. Soprattutto attraverso i luoghi, emozionanti di per sé, come la biblioteca di casa Leopardi, la finestra attraverso cui vediamo, come lui la vedeva, la casa di Silvia; i versi dell’Infinito vibranti nel paesaggio che li ha ispirati; e poi, più vera del vero, l’Italia d’allora, da una altera Firenze a una Napoli caravaggesca e dolente; l’Italia di sempre, quella che potrebbe essere e non è, quell’Italia allo stato nascente amata da Martone, che racchiude tutti i semi di ciò che verrà, o non verrà, in seguito.

Di scena in scena, riappare un giovane eterno che scappa di casa, non una volta ma sempre, per cercare, da un luogo all’altro, attraverso il dolore, una vita autentica, un amore, l’amore. Sono uscita con una gran nostalgia della giovinezza. E una gran voglia di rileggere tutto.

2 commenti su questo articolo:

  1. Chiara Napoli scrive:

    Ottimo film, ottimo l’articolo, anche molti giovanissimi l’anno apprezzato.

  2. Giuseppe scrive:

    Concordo con te sull’intesa istintiva tra adolescenti e Leopardi, memore di una grande passione liceale che mi portava ad accapigliarmi verbalmente con la prof di lettere dell’ultimo anno. C’è una stagione dell’animo, particolarmente prorompente nell’adolescenza, ma periodicamente riaffiorante come un fiume carsico, che affratella i Doors, il surrealismo e Leopardi in una voglia di rottura con l’ordine costituito, con l’obbligo di essere belli, buoni, obbedienti, prevedibili.
    Il film, ovviamente, l’ho visto; molto mi aspettavo e in effetti parecchio ho trovato: l’animo puro di un intellettuale non disposto a compromessi dentro a un corpo che lo tradisce e tortura, le splendide scene dell’infanzia e giovinezza e l’affresco dell’Italia del tempo così diversa ma ahimè così simile per molti versi a quella attuale. Più bello il primo tempo, perché più delicato e sobrio, asciutto nel raccontare anche morte e delusioni; meno riuscito il secondo perché interrompe questa compostezza, proprio lì dove la biografia non può arrivare, con scene la cui scarsa probabilità fa il paio con un certo gusto dell’emozione forte un po’ fuori luogo, a parer mio. Riuscito invece il finale e magnifica l’interpretazione di Germano, attualmente il più in forma e versatile degli attori italiani.
    Concordo con te: all’uscita dalla sala la fortuna è stata di non trovare subito una libreria aperta!

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