Amici che vanno, vengono, ma chi rimane?

18 gennaio 2015 di: Elisabetta Pasca

Amicizia, così la definisce il vocabolario Treccani: “Vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e reciproca stima…”. A volte sono indissolubili, sembrano un giuramento, un patto di sangue, quelle amicizie che sono la tua famiglia, una famiglia che crei e scegli nel corso degli anni. Sono lì per te, in ogni momento, quasi a salvarti sull’orlo di una buca troppo profonda, o magari a spingerti, a darti coraggio per un nuovo salto nel vuoto: una nuova avventura. Avventure che si risolvono in catastrofi il più delle volte, ma che vengono sempre accolte da una sonora risata, che ti ricompone, ed una pacca sulla spalla, che ti dimostra quanto tutto possa andare a posto, se solo lo vuoi. Amicizie vere, quelle fortunate. O al contrario, analizzando le ultime righe della definizione: “…amicizia interessata, superficiale mantenuta soltanto per l’utilità materiale o il vantaggio che se ne può trarre”. Amicizie di circostanza, false quanto una banconota da sette euro, che a volte sembrano durare molto a lungo, illudendoci, ma che a ben guardare non sono altro che strette di mano e sorrisi rigidi. Nulla di più. Essere amici non vuol dire essere falsi, non vuol dire conformarsi ad un gruppo di persone così da non essere respinti, non vuol dire chiudere la bocca ed annuire anche se qualcosa non ci sta bene o farsi amare per ciò che non siamo. Come la democrazia è la libera espressione della propria individualità, così l’amicizia deve essere fatta da entità complementari, che si sanno accettare e che sanno imparare dai propri sbagli o dagli sbagli altrui. Una vera amicizia non si spezza per un futile atto di orgoglio. Una vera amicizia non si costruisce sui social network, perché ha bisogno di contatto: mani che si stringono, occhi che s’incontrano. Una vera amicizia non si distrugge con un click. Eppure è così che succede. Legami sinceri che finiscono, ma non si sa il perché. Come candele che ardono di una fiamma florida e poi si spengono, consumate, tutto ad un tratto. Amicizie virtuali, che non lo sono affatto, ma che si definiscono tali e sembrano addirittura più reali di legami che perdurano da anni. Amicizie perdute, eppure così rimpiante. Allora perché nascondersi dietro ad uno schermo anche quando si tratta di legami affettivi? Perché continuare ad essere ciò che non si è, circondati da grandi amici che in realtà non conosciamo per davvero? Perché lasciare spegnere quelle candele?Proviamo a parlare, proviamo a parlare di noi e tra di noi, posiamo il cellulare, whatsapp, facebook o twitter, spegniamo il computer, armiamoci di coraggio ed alziamo lo sguardo, il nostro amico è lì, basta solo aprire la bocca e darle fiato.

4 commenti su questo articolo:

  1. A. scrive:

    Questo è il mondo in cui viviamo, il mondo dell’apparenza e dell’ostentazione. Ci nascondiamo dietro dovuti o mancati “mi piace” su Facebook, stati da interpretare, foto per far ingelosire. Ma davvero pensiamo di poter ridurre l’amicizia a questo? Usciamo da questo mondo virtuale che non fa altro che bendarci gli occhi e offuscarci la mente, smettiamola di trincerarci dietro sorrisi di circostanza, parole false e rapporti di convenienza.
    Se si vuole una persona, bisogna andarsela a prendere e non serviranno a niente l’orgoglio, le frecciatine, i “mi piace” a cui siamo abituati. Se si vuole una persona, bisogna conquistarsela. L’amicizia non necessita di chissà che: un sorriso sincero, un’attenzione in più, una stretta di mani o una parola dolce saranno sufficienti.
    L’amicizia ha bisogno di presenze.

  2. Rachele scrive:

    Questo articolo mi trova molto d’accordo, esistono diversi tipi di amicizia e ne esistevano già prima di quest’era tecnologica, magari, però, veniva più difficile “fregare” qualcuno, convincerlo che il nostro affetto fosse sincero, perché quando una persona mente guardandoti negli occhi, beh, è tutta un’altra cosa. Credo che i social network ci abbiano reso più vigliacchi, più codardi, ci abbiano abituato a crederci “potenti” solo perché lo schermo di un computer ci fa sentire protetti, difesi, ci fa da scudo, ma non è così, la vita è sporcarsi di altre vite, è sentire emozioni, belle o brutte che siano, è sentire qualcuno accanto, è mostrarsi per quello che si è, pure se questo significa correre il rischio, farsi male, perché ad andare si può essere bravi in tanti, il grosso problema, l’impegno più grande è imparare a saper rimanere.

  3. silvana scrive:

    un brava all’autrice ma anche a chi commenta, Rachele per esempio potrebbe scrivere per noi tanto il suo commento racchiude le nostre idee, il mondo dei social network non è il mondo della realtà non ti spinge ad essere te stesso/a ma a crearti una personalità diversa, l’amicizia come dice l’autrice ha bisogno di presenze, della propria presenza.

  4. Matteo scrive:

    complimenti! un argomento interessante e spesso dato per scontato, forse perché, come al solito, il problema risiede nella pigrizia, è facile nascondersi dietro ad uno schermo di un pc e costruire rapporti con altre persone basati su messaggi scritti in pochi secondi, più difficile è mettersi in gioco, dedicare del tempo ad un altro per crescere insieme condividendo esperienze, positive o negative. I social network possono essere utili per mantenere contatti con chi non possiamo vedere tutti i giorni, ma non bastano, un amico è un compagno di viaggio e nella vita si viaggia per strada, non su Google maps.

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