Capanna montata da “La Stampa” del 26.02.15
Da qualche tempo Mario Capanna, il giovane dell’altro ieri, va alla radio e in televisione a irridere i giovani di oggi. Avranno una pensione misera a 70 anni? si domanda dall’alto della sua da ex parlamentare, invece più che soddisfacente. Ben gli sta, si risponde da solo, perché senza lotta non si ottiene nulla nella vita e loro non lottano, ma preferiscono vivere nella bambagia di mamma fino a quarant’anni «tanto che bisogna chiamare i carabinieri per buttarli fuori». A parte che preferisco vivere in un Paese che chiama i carabinieri per fare sloggiare un figlio quarantenne anziché per difendersi da chi tira le molotov. Ma a Capanna, come ai tanti ribelli placati della sua età che imputano ai ragazzi del Duemila di non fare la rivoluzione, continua a sfuggire un piccolo particolare. Che nel «loro» Sessantotto, figlio del boom economico, i giovani erano tantissimi. Avevano con sé l’unica forza che conta in democrazia, quella dei numeri. E vivevano in una società dalle prospettive illimitate, dove il futuro era una certezza indiscutibile.
La società che i sessantottini consegnano ai nipoti è decisamente diversa. Con il calo delle nascite e il prolungamento della vita media, i giovani sono diventati una minoranza silenziosa che pesa poco sulle decisioni della politica. E la frantumazione del lavoro, che la generazione di Capanna non ha saputo evitare e in molti casi ha sfruttato, li ha resi incapaci di pensare al plurale e coniugare i verbi al futuro. Prima di fare la morale ai ragazzi di oggi, quelli dell’altro ieri dovrebbero provare a mettersi nei loro panni. E magari chiedere scusa per avere contribuito a creare questo presente.