la riforma della giustizia che non riforma

27 febbraio 2015 di: Fortunata Pace

L’Italia con 6- si ritiene, economicamente, quasi promossa specie che ha avuto 4 la Francia e deve rivedere i compiti nel prossimo biennio, ma rimane fondato timore che si distragga sui problemi lavoro, investimenti e crescita e altrettanto su quelli che riguardano buona parte dei cittadini oberati di tasse di ogni tipo e abbandonati sul piano dei propri diritti primari. Il premier Renzi è rapido, deciso e di tanto in tanto si intuisce dove voglia arrivare e cos’è che effettivamente lo muove, al di là delle tante parole con le quali galvanizza un buon numero di italiani, impotenti o rassegnati, che lo ritengono l’unico scudo a un “ancor peggio”.  Infatti va detto che “l’Italia c’è”, non proprio quella che vorremmo ma una nazione che in Europa riesce a sgomitare e se si corre il rischio che Berlusconi, smettendo – non sapremmo dire quanto consapevolmente – il suo primato politico, si attesti verso quello economico che gli consentirebbe un potere ancora più forte e determinante per le sorti del paese, non sappiamo come sta per condursi il gioco.

Del resto se la Boldrini dice la sua, se Landini vuole scendere in campo con un diverso ruolo, se qualche giornale non asservito, nei suoi titoli sempre azzeccati, sottolinea l’allarme Italia, le cose vanno egualmente come si decide  da parte di chi ha scaltrezza, spregiudicatezza e maniglie, più o meno palesi, che lo preservano da cadute.

Intanto le riforme che il governo ha da sempre annunciato, incalzano, e mentre incombe la minaccia Rai e se alcuni rischi che paventiamo a colpi di maggioranza o di dubbi decreti arrivano, quella della “giustizia” è già legge. Diciamocelo con franchezza: il cittadino comune ha ben pochi turbamenti per quel che il terzo potere dichiara di veder compromesso, giusto che l’autonomia al magistrato resta e altrettanto la sua indipendenza nel condurre rinvii, avviare consulenze e quant’altro. Se poi lamenta minacce alla sua serenità, considerato quanto è costretto a perderla chi avvia un procedimento giudiziario e si ritrova vittima si un ingranaggio perverso fatto di lungaggini e di imprevedibili situazioni accessorie, davvero, non possiamo dolerci un granché. Gli si chiede attenzione e capacità, no? Male la cosa non può fare. E del resto quanto si deve ancora parlare di magistratura quando, ormai un avvocato, magari professionalmente deluso, si ritrova a gestire una fase di giudizio senza averne comprovata competenza? La riforma in atto sembra punitiva per il magistrato negligente (ma chi sarà chiamato a giudicarlo?) ma non è escluso che possa provocare invece a chi ha la sventura di rivolgersi ad un tribunale, nuove, lunghe e tormentose attese.

La vera riforma, non può non pensarlo il signor Ministro, sarebbe ristrutturare un apparato gruviera in cui manca la materia prima; un numero adeguato di veri magistrati, il limite per la durata dei processi – e questa sì a pena di sanzioni pecuniarie – il controllo sull’andamento di una macchina delicata ed essenziale in cui una toga rossa o nera sia simbolicamente egregia, rassicurante e non temibile. Mai certamente, in parallelo a certa politica, una casta.

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