“8 marzo, Boldrini: le sue parole servono alle donne per invecchiare meglio” da Il Fatto Quotidiano del 07.03.15
La Boldrini vuole un rispetto del ‘genere femminile’ che parta dalle aule dei palazzi della politica. Per cui bando alla parola ‘ministro’ se ci si riferisce a una donna, che dovrà essere appellata ‘ministra’, oppure ‘signora’ presidente o ‘la’ presidente, nel caso ci si riferisca, per esempio alla titolare della Camera.
Secondo alcune ‘colleghe’ di Laura Boldrini, le donne avrebbero però altre priorità, rispetto a quella di sindacare sulla coniugazione dei loro titoli. “È una battaglia simbolica” ha detto Marina Sereni, la vicepresidente della Camera, in quota Partito democratico. Dal canto mio, sospendo il giudizio. Certo è che leggere nella lettera di Laura Boldrini, al di là della questione del titolo declinato al maschile o al femminile, frasi del tipo: “che il rispetto e l’uguaglianza di genere vengano insegnate a scuola”, mi porta a protendere senza tentennamenti a favore della battaglia avviata dalla presidente della Camera.
È vero però che è molto più grave scoprire il perdurare di certe discriminazioni, a partire da quelle legate alla condizione economica; io credo quindi che prima di tutto si debba agire per superare la difformità più amara e vigliacca, quella del gap salariale tra uomo e donna, sempre e comunque a vantaggio del primo e contro gli interessi della seconda.
Poco importa che siano solo di principio o simboliche le battaglie che Laura Boldrini ha deciso di condurre. Quel che conta è sollevare il velo – se possibile non solo a ridosso dell’8 di marzo di ogni anno – sulla condizione di inferiorità femminile e lottare per annullarla. Come abbiamo visto, certe differenze si cronicizzano e poi, con gli anni, si pagano. Le donne sono destinate a vivere una vecchiaia più triste, anche se più longeva; ma non c’è nessuna colpa o manchevolezza che debbano scontare, per essere destinate a questo. È loro diritto essere felici, ricche e soddisfatte quanto i maschi!