a Forlimpopoli si studia la mafia con le Donne del Digiuno

11 aprile 2015 di: Rosanna Pirajno

Non è la distanza di tempo che fa dimenticare certi avvenimenti, ma è piuttosto un atteggiamento mentale che rende trascurabili anche fatti che hanno pesato nell’immaginario collettivo. Così è stato per il movimento del gruppo di donne che nella tragica stagione delle stragi del 1992, nella palermitana piazza Castelnuovo, dal 23 luglio al 22 agosto misero in atto una forma di protesta che passava per il corpo, generatore di vita che si apre al mondo: con il digiuno simboleggiarono il rigetto della violenza portatrice di morte e atrocità e la ricerca di verità e giustizia.

Delle Donne del Digiuno, come ci chiamammo, a me resta un ricordo struggente e un adesivo sbiadito. Nel 2014, a distanza di 22 anni da quella storia, il giovane fotografo Francesco Francaviglia ha seguito l’impulso – a pensarci bene, assai sorprendente – di fissare su carta i volti, e oramai le rughe, di 31 delle protagoniste di una protesta archiviata nei fatti e nella memoria della maggior parte dei palermitani.

Ne è nata una galleria di ritratti intensi e forti che, dopo la mostra a Palazzo Ziino e agli Uffizi di Firenze, e dopo aver vinto premi prestigiosi, è approdata al Museo Archeologico Tobia Aldini di Forlimpopoli per merito di alcune persone di buona volontà, che pubblicamente ringrazio e lodo nominandoli nell’ordine di una pianificazione perseguita nonostante la consueta penuria di fondi, sopperita dalla generosità del volontariato: Rosanna Parmeggiani (Fiaf) che ne viene a conoscenza e ne parla con Franco Ronconi del presidio Libera, che la propone alla direttrice Silvia Bartoli del Maf e all’assessora alla Scuola Sara Pignatari, le cui rispettive istituzioni si dichiarano «profondamente onorate e orgogliose di accogliere e promuovere questa mostra». Il gruppo di lavoro, formato dai predetti oltre Laura Laghi, responsabile Ufficio cultura, Carlo Rondoni del presidio Libera e Gianluca Corzani, ventunenne studente universitario e formatore, si mette in moto con l’intento di mostrare «raffigurazioni – di drammatica bellezza e intensità – in cui trapela quella fierezza che solo le Donne da sempre sanno portare, a sfidare le sorti che da millenni subiscono. Il digiuno è stata la loro vera sfida; e di sfida vuole essere il messaggio che oggi ci consegnano: quello di non abbassare la guardia e di non arrendersi, mai; di contrastare violenze e soprusi; di cercare – sempre e comunque – Giustizia e Verità», come scrive la direttrice del Maf.

La «valenza fortemente educativa e formativa» dell’iniziativa è presa a spunto, sempre dai referenti di Libera che hanno fatto un magnifico lavoro, per un percorso didattico condotto da Chiara Quadrelli, dolcissima maestra, da Franco Ronconi e Gianluca Corzani, che ha già prodotto risultati sorprendenti e che seguirà la mostra fino alla chiusura, prolungata al 17 maggio con il contributo economico dell’Istituto dei Beni Culturali e Naturali dell’Emilia Romagna, in conferenza rappresentato dalla dott. Valeria Cicala, che scopro palermitana trapiantata.

Il risultato di questo impegno collettivo è un allestimento di grande suggestione, per il luogo accuratamente restaurato e densamente fruito e per l’insolita commistione con i reperti archeologici esposti, quasi messaggio subliminale della sedimentazione di fenomeni persistenti malgrado la rivolta civile, in un mezzogiorno neppure più tanto lontano e diverso.

Nominata senza merito madrina della esposizione, ed effigiata su banner e segnalibri come una diva, manco l’inaugurazione causa influenza ma vado successivamente ad incontrare organizzatori e studenti liceali e a rispondere alle loro domande, suggerite da quella ribellione femminile alle stragi mafiose che, in contesti e tempi diversi, è guardata con attenzione maggiore di quanta ne abbia suscitata da noi allora ed in seguito.

Ora che (quasi) tutti hanno potuto costatare quanto la “linea della palma” di sciasciana memoria abbia risalito la penisola, radicandosi nel tessuto sociale e negli snodi più oliati di affari e finanze, di mafia si parla anche al nord con giustificata apprensione e rispolverare una vecchia storia di resistenza, come ha fatto Francesco Francaviglia e come hanno mostrato di comprendere gli organizzatori della mostra di Forlimpopoli – la cui accoglienza è stata di un calore e di una affettuosità a dir poco travolgente – è un modo di consegnare alle nuove generazioni non solo la memoria di un recente passato che non è lecito far cadere nell’oblio, ma anche esempi di lotta e resistenza pacifica di una cosiddetta società civile che non intese sottostare alla sopraffazione mafiosa. Ma neppure alle connivenze, complicità e convenienze politiche e istituzionali che l’alimentarono e che, malauguratamente, tuttora si perpetuano.

1 commento su questo articolo:

  1. Franco Ronconi scrive:

    Cara Rosanna, finalmente trovo un attimo per ringraziarti di questa testimonianza.
    Siamo particolarmente soddisfatti, come presidio Libera “Giuseppe Letizia” di Forlimpopoli, che tu abbia sottolineato l’importanza didattica di questa mostra.
    Il tuo “a Forlimpopoli si studia la mafia con le Donne del Digiuno” coglie lo spirito del nostro impegno.
    Un abbraccio grandissimo da parte di tutti NOI Forlimpopolesi

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