Catena umana da “La Stampa” del 17.04.15

17 aprile 2015 di: Massimo Gramellini

Un certo pessimismo che ama travestirsi da realismo porterebbe a dire: come si potranno integrare con la nostra cultura quei migranti che durante la traversata verso l’Europa hanno buttato a mare i compagni di sventura di religione cristiana? E a cosa serve espellerli, se tanto si rimetteranno subito in coda per tornare? L’unica alternativa possibile allo scoramento ci viene suggerita dal comportamento dei cristiani superstiti di quel barcone. Invece di accettare la rissa, si sono stretti l’un l’altro in una catena umana che li ha ancorati allo scafo, impedendo agli aggressori musulmani di buttarli di sotto con i loro fratelli.

Non esistono altre ricette, nemmeno per noi. Fermare la migrazione di masse disperate e motivatissime è praticamente impossibile, a meno di invadere i loro Paesi di provenienza e scatenare una guerra che produrrebbe ulteriori sconquassi. Sono in atto mutamenti epocali che ridisegneranno i confini degli Stati arabi al di là del Mediterraneo e portano già adesso la nostra civiltà a ritrovarsi assediata da pezzi consistenti di caos. Fin qui la reazione dell’Europa è stata schizofrenica, in un alternarsi di rimozione e di collera, di menefreghismo per le ecatombi e di scoppi improvvisi di cordoglio in occasione di qualche tragedia che, come quest’ultima, si distinguesse dalle altre per un particolare inedito in grado di accendere l’immaginazione. E’ mancata la presa d’atto che questo problema non si può risolvere ma solo assorbire, purché lo si affronti allo stesso modo da Copenaghen a Lampedusa. Contro l’ondata incontrollabile serve una catena umana ideale. Una forma di resistenza basata sulla solidarietà e sul buonsenso, che è cosa assai diversa dal senso comune.

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