Infiltrati anticorruzione? No, per carità!

1 aprile 2015 di: Simona Mafai, 2 aprile

Nel positivo sforzo di combattere la corruzione in Italia,  giornalisti, magistrati, deputati  – fanno proposte tendenti non solo ad aumentare le pene per i corrotti, ma anche a bloccare l’iter corruttivo “in corso d’opera”.

Sono propositi interessanti, ma tutti da selezionare con cura.

Ad esempio mi sembra inaccettabile la  recente proposta di ingaggiare alcune persone a svolgere il ruolo di “agenti provocatori” nei confronti di personaggi che si presume siano sensibili al  “profumo dei soldi”.

Essi si recherebbero presso alti funzionari o politici autorevoli, proponendo loro affari sporchi in cambio di  consistenti bustarelle.  In caso essi accettino, l’infiltrato li denuncerà.

E se avvenisse il contrario? Se fosse proprio il funzionario o il politico a denunciare chi gli sta facendo la proposta scorretta?  L’agente provocatore consegnato alla polizia  e denunziato alla Procura, si rivelerebbe anch’egli un  poliziotto,  travestito,  oppure  un giovane disoccupato neo-assunto dallo stato. La situazione si rivelerebbe grottesca, più adatta ad un film comico che ad accrescere la coscienza civica e la moralità pubblica.

No, no, no. La situazione politico-giudiziaria italiana è già abbastanza aggrovigliata e controversa, per non aggiungervi altri elementi di confusione.  Sorprende che a  caldeggiare  tale proposta sia stato,  tra  gli altri, un magistrato. Ingenuità?  Superficiale scopiazzatura di pratiche agite (forse) in altri paesi, ma in contesti molto diversi dai nostri?.

Forse è il caso di ricordare gli esiti deleteri che hanno avuto in Sicilia i tentativi (più o meno segreti, più o meno in buona fede) fatti dalle forze di pubblica sicurezza per conoscere e forse condizionare  gli esponenti della mafia. Meglio non giocare col  fango.

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