appartengo all’Africa, e lei mi appartiene
Cara Silvana, mi hai chiesto di scrivere qualcosa sul mio ultimo libro ”La storia di uno è la storia di tutti” che sarà presentato nuovamente da Antonella Leto, venerdì 29 maggio a Spazio Cultura della libreria Macaione.
Il 3 ottobre del 2013, dopo il terribile naufragio in cui settecento morti, quasi tutti eritrei, hanno coperto il mare a pochi metri daLampedusa, ho ascoltato il racconto della psichiatra Enza Malatino che lavora nell’isola da 14 anni. E’ stato forte il desiderio di scrivere perché ne restasse memoria. Di fronte a uno Stato che via via prendeva le distanze da quanto successo, di fronte invece agli striscioni dei lampedusani che dicevano: ”Non potete portarli via. Questi morti sono i nostri morti” ho voluto denunziare come, ancora una volta, è sulla cancellazione della memoria che si stabiliscono i rapporti di potere.
Infatti i morti sono stati distribuiti in vari cimiteri della Sicilia, quasi di nascosto perché è proprio sullo sradicamento della memoria che si possono impiantare comportamenti e leggi colonialiste. E’, questo, il potere prodigioso dei conquistatori. Dice Simone Weil: «…fare una cosa di un uomo che resta vivo, ma è una cosa!» Il processo di annientamento della soggettività e della dignità dei migranti è un campanello d’allarme per tutti.
Vorrei aggiungere ancora che questo libro è stata anche la scoperta di alcune parti di me. Con interviste a donne della Nigeria come della Somalia, mi è arrivata la loro fierezza e dignità anche quando mi hanno detto: «L’Africa ce la può fare da sola. Ma è utile che resti la grande ammalata!» Con il racconto di queste donne, della loro vita nei villaggi, mi sono anche arrivati ricordi della mia infanzia, del mio modo di vivere in campagna fra una zia e l’altra, dove la casa di ogni mia cugina era anche la mia. Eravamo tanti/e quasi una tribù. Così ho capito che, anche se per un lembo, l’Africa mi appartiene come io le appartengo.