le tragedie classiche a Siracusa, Medea l’indomita

11 giugno 2015 di: Egle Palazzolo

«io Medea né donna né uomo!» lo grida due volte uno dei personaggi più forti e più esecrati del mito greco, trascinata da Seneca nella dimensione culturale di un sanguigno e radicale mondo latino. Calata in un “male” senza vergogna e in una sofferenza senza soluzione, riappare sbrindellata e feroce sull’inimitabile e insostituibile cerchio del teatro siracusano, quasi aggredendo un pubblico condizionato da sapute emozioni. È una Medea colpevole non solo del più abominevole dei delitti, l’uccisione dei figlioletti suoi e di Giasone, ma è colei che ha massacrato un tenero fratellino e colpito e tradito la sua gente, è il nocchiero senza scrupoli che ha spinto alla conquista del vello d’oro. È la furia e la passione insieme che non si fermerà di fronte ad alcuna cosa per fare del suo uomo tanto amato, un vincitore, un futuro re. Non valgono dettagli per questa coraggiosa edizione 2015 – con corifei maschi e femmine bardati alla Fitzgerald di una America anni trenta, pur non privi di fascino – conta solo lei bravissima, indomita, irrimediabilmente crudele. Lei che dopo l’amore totale a cui si è votata, non potrà, perché forse non le è dato farlo, andare oltre! Né donna né uomo. Medea supera ogni diversità di genere e, nel bene e nel male, ogni immaginata potenzialità tra i due sessi.

Non c’è Giasone, non c’è Creonte, figure sbiadite e vanamente frontali, in questa ultima messa in scena di Medea a Siracusa. C’è una donna che supera gli abissi e la morte in una oscura catarsi dell’anima che va oltre, di fronte ad ogni smarrimento dello spettatore, oltre se stessa, forse oltre il mito stesso.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement