i Carmina Burana al Parco della Musica di Roma
In una serata afosa, corredata di luna sospesa sopra la cavea dell’Auditorium di Roma, si è svolto un concerto molto particolare a coronamento di un’operazione culturale che aveva come scopo l’incontro tra la tradizione popolare e la musica colta. Sulla base della partitura di Carl Orff, integrata con musiche e canti medievali originali, un coro di circa cento elementi, due pianoforti, varie percussioni sinfoniche, strumenti antichi e popolari, un soprano, un tenore, tre voci “naturali”, due femminili ed una maschile, hanno tracciato un ponte tra storia e tradizione, cercando di riportare i canti religiosi, profani, scherzosi, amatori, satirici, blasfemi e mistici che compongono i Carmina Burana, alla loro dimensione originaria alla quale si ispirò Carl Orff per la sua omonima composizione.
Attingendo al latino, al tedesco, alle “lingue” delle varie tradizioni popolari, dal siciliano al napoletano fino al sabir, la lingua del Mediterraneo, l’ideatore dell’operazione, Nando Citarella, ha cercato di ricreare il mosaico multilingue e multiculturale che animava i racconti e le storie narrate nel Codex buranus che prese successivamente il nome di Carmina Burana. Erano infatti anche menestrelli e cantastorie i goliardi o clerici vagantes, che dal XII al XIII secolo composero la raccolta di canti, scoperta nell’abbazia di Benediktbeuern in Alta Baviera nel 1803 e poi musicata in parte (24 canti) nel 1937 dal compositore tedesco.
Il pubblico, quello della platea composto e avvertito del fatto che sempre di un’opera sinfonica si trattava con pause in cui non bisognava applaudire; l’altro, quello delle tribune, in maggior numero e più variegato, meno avvertito e più popolare, dunque più vicino allo spirito dei carmina, ha inteso a suo modo il messaggio lanciato dagli artisti dal palco e forse nel modo giusto, intervenendo con applausi appena una pausa si materializzava nell’aria, diventata nel frattempo sempre più fresca e gradevole, accompagnando con la voce e con il battito delle mani i brani più travolgenti e martellanti.
Tra i due pubblici qualche frizione e zittii. L’acme del contrasto però si è realizzato quando un “Burini” è stato lanciato in direzione di un settore delle tribune, realizzando concretamente così l’idea del curatore Citarella di liberare dall’operazione colta di Orff i carmina del codice “buranus”.
Quale pubblico migliore di un pubblico “burino” per un’operazione di questo tipo?
Intenditori, esperti, conoscitori, colti che non tollerano i burini, persone rozze, goffe e ignoranti.
Questi ultimi non conoscono, ignorano e, forse per questo trascendono….
Gli altri non si trattengono dall’offendere chi non sa riconoscere il valore e il pregio dello spettacolo.
Non è possibile non sorridere leggendo questo articolo: sembra la scena di un film comico…ma è pura realtà.
Grazie Clara per questo spaccato di società che ci presenti con ironia e sapienza.
Si ripropone la distinzione tra le tribune (costose) e le curve (popolari e chiassose) dello stadio? Non mi scandalizzo, anzi credo che gli spettacoli estivi all’aperto siano un’occasione per avvicinare alla musica un pubblico più vasto, rispetto alla ristretta cerchia un po’ elitaria degli intenditori, anche se un tantino…impreparato e “burino”. Questo è un bene, piuttosto chi offende con epiteti poco garbati è in torto.
L’Estate Romana, sia quella culturale che quella climatica, ha offerto quest’anno una grande varietà di possibilità e forse ha accontentato tutti i palati. Io credo che assaggiare pietanze diverse fa bene alla salute del corpo, mi sembra dunque altrettanto salutare per la mente assistere a spettacoli diversi. L’importante è che si facciano esperienze stimolanti e dignitose.