in onore di Khaled al Asaad
Mi è venuto spontaneo assimilare l’assassinio dell’esimio archeologo siriano Khaled al Asaad, compiuto pare una settimana fa a Palmira ma venuto alla luce solo due giorni fa, a quello, efferato come mai altri, della filosofa e astronoma greca Ipazia, avvenuto ad Alessandria d’Egitto nella seconda metà del IV secolo d.C. Non per dire che anche i cristiani bla bla… ma quando penso alla violenza più becera e disumana, penso a Ipazia fatta a pezzi da uno stuolo di monaci gretti ignoranti spietati, che la temevano perché troppo dotta, troppo saggia e sapiente, troppo preziosa per la sua gente, troppo pregna – in quanto donna, termine più che appropriato – di saperi e conoscenze e dottrine che terrorizzano le menti imbottite di ignoranza e fanatismo.
Da ora in poi penserò pure, con devozione e tenerezza, alla figura dell’anziano archeologo siriano che barbari miliziani dell’Isis hanno torturato, ammazzato e decapitato perché troppo dotto, troppo sapiente, troppo innamorato dell’arte della sua terra per loro, che praticano la violenza bruta imbottita di grettezza ignoranza integralismo senza ritorno.
Lo studioso, uomo giusto, si era macchiato della grave colpa di aver speso la vita per studiare tutelare custodire la “sua” Palmira e, infine, di essersi rifiutato di rivelare i nascondigli dei preziosi reperti che aveva sottratto alla cupidigia di quegli iconoclasti tagliatori di teste.
L’ira funesta degli assassini si è allora riversata sul corpo dello studioso, che non ha inteso abbandonare il suo museo pur avvertito dei pericoli che correva, per quella sorta di sfregio e di tracotanza che solo il terrore della storia, della cultura, della bellezza, del passato intrecciato con altre civiltà e popoli e culture e inevitabili dominazioni e soggezioni, induce in menti mai attraversate da pensieri che non siano di guerra e violenza e crudeltà. Sarà banale, ma mi va di dire Io sono Khaled al Asaad, per il dispiacere che ho provato per la sua morte ingiusta.