in piena estate

30 agosto 2015 di: Rossella Caleca

In controluce, le ondeggiano i capelli. L’unica cosa che posso vedere, da quest’angolo. Il resto è nascosto dalla tenda gonfia di brezza, una sagoma appena più scura del cielo dietro la porta-finestra accostata. Hanno la luce dei coralli, come nella canzone. Sta guardando dentro, attraverso il vetro. Verso di me.

Siamo in piena estate, e che estate! Un caldo implacabile, una vita da astronauti costretti a saltare da una camera stagna condizionata ad un’altra attraversando veloci la bolla rovente dello spazio esterno. Anche qui al mare, la spiaggia quest’anno ha visto pochi irriducibili campeggiatori diurni e molti più frequentatori pomeridiani e crepuscolari; la sera, file di pescatori piantati sul bagnasciuga tirano tardi accanto alle lenze, sperando inutilmente in un fresco che non viene.

Questo pomeriggio, invece, io sono scesa presto. Ho cercato l’ombra naturale delle rocce in una caletta in mezzo agli scogli. Mi sono fatta una piccola tana direttamente sulla sabbia, tra i ciottoli; mi sono bagnata, rapida, poi mi sono distesa nella luce fondente, sentendo il calore planare su di me come una grande ala.

Oggi tutti avevano altro da fare, ciascuno a correre dietro a una qualche micropassione estiva, attività importanti che mi escludono categoricamente (figli) o mi contemplano come accessorio (marito) o vengono sospese per brevi ritorni in bilico tra affetto e opportunismo (gatti). Niente famiglia, niente ospiti, il caos quotidiano delle nostre vacanze svanito all’improvviso. Uno spazio bianco per un tempo ritrovato.

Mi sono lasciata assorbire dalla solidità sfuggente del calore, dell’aria intrisa di salsedine, dalla concreta consistenza del mio corpo disteso sulla sabbia dai granelli brillanti come gioielli troppo vicini ai miei occhi socchiusi, dalle lame di azzurro dominatore del cielo. Un leggero stordimento mi ha avvolta, insieme a una pervadente sensazione di benessere, come se una vacanza della mente avesse spalancato le porte dei sensi, e nel suo abbraccio ho avvertito la sospensione del tempo e della realtà, e la materialità delle cose, la loro verità essenziale, prendere il sopravvento sull’illusione quotidiana.

Avevo già provato questa sensazione, molto tempo fa. Tra questi scogli, da bambini, saltavamo in lunghe giornate lontane, quando ancora bisognava badare a non pungersi sui ricci di mare e si poteva prendere un polpo in dieci minuti. Non esisteva altro che la felicità dell’acqua, dell’aria, del sole, e noi ne eravamo parte.

Poi un’altra immagine mi ha attraversato la mente, di me con le mie amiche, qualche anno dopo, nelle lunghe camminate sul bagnasciuga, nei giorni delle nostre interminabili vacanze. Quanto parlavamo, quante cose avevamo da dirci, mentre le impronte dei nostri piedi si perdevano in lunghe scie sulla sabbia dietro di noi. Io raccontavo a voce alta le magnifiche emozioni e allegrie che mi attendevo, le città dove avrei vissuto, i progetti che avrei realizzato. Ero così determinata. Avevo una testa piena di sogni e di lunghissimi capelli.

Sono stata risvegliata, credo, da una folata di brezza. Contro un cielo già striato di rosso ho raccolto le mie cose, mi sono avviata verso casa: la sensazione di unione profonda, autentica col mondo ha lasciato il posto a una vaga inquietudine e a un umore amaro, come se l’insurrezione delle cose nel riverbero del sole mi avesse ustionato l’anima; come se avessi lasciato, là sulla sabbia, le spoglie di un altro corpo, riprendendomi il mio, usato e logoro.

Al ritorno, sul sentiero di sabbia ho avvertito uno scalpiccio, ed ancora echi di passi sui gradini di pietra. Nessuno dietro di me: solo sulla spiaggia già lontana ombre quasi indistinte nel crepuscolo.

Ancora, già a casa, tonfi leggeri, come di piedi nudi, sulla veranda: qualcuno, sì, mi ha seguito. Qualcuno che conosco? E io sono sola! Ed è un’ombra, di là dalla vetrata: un’ombra di donna, alta come me.

Sento l’inquietudine salire, trasformarsi in paura: la figura sconosciuta si staglia silenziosa in controluce, per metà nascosta, e mi guarda, solo questo, mi guarda.

Non oso avvicinarmi, non oso chiamarla: ma, a un movimento della tenda, il suo volto si scopre e la riconosco.

Quello sguardo, quegli occhi.

L’insurrezione della realtà, l’esplosione della verità.

L’incontro che nessuno al mondo può immaginare, né accettare: quello col proprio unico, vero giudice. E con le strade mai percorse, le città mai viste, i sogni trascorsi come sabbia tra le dita.

NON POSSO SOPPORTARE QUELLO SGUARDO!

Mi ritraggo nell’ombra. Non deve entrare, guardarmi ancora. Mai più.

Mi difenderò.

Sarà dura.

Siamo ragazze tenaci.

4 commenti su questo articolo:

  1. anna scrive:

    per una serie di ragioni non sono più andata al mare per tanti anni
    ci sono tornata ormai anziana, ho assaporato la brezza leggera,
    mi son fatta accarezzare dall’acqua del mare, scottare dal sole…
    bello questo racconto…mi ha portato indietro nel tempo
    e mi ha messo di fronte alla realtà:
    quante cose avrei voluto fare, vedere, apprezzare
    quante altre ho fatto, visto, vissuto…ma non hanno lo stesso sapore!

  2. Giuseppe scrive:

    Lasciamo tanti messaggi in bottiglia lungo il nostro viaggio. Legati a canzoni, a libri, a luoghi. a sensazioni.
    Subdoli, a volte, leggendoli.
    Specie quando trattano di scontri tra i ricordi, i sogni, ed il presente, che essendo sporco di vita e gravato di realtà è destinato a soccombere. Normale.
    Ma i sogni stessi non sono altro da sé.
    E nel sé di oggi sono i sogni di domani. Ci vuole forza, molta forza, per sognare senza il carburante dell’ingenuità.
    Ma esistono altre risorse: comprensione, saggezza, decisione. Rivincita, voglia di stupir sé stessi. Capacità di soffrire.
    E le ragazze tenaci possono farlo.

  3. lia scrive:

    Sei riuscita a portarmi con te, sulla sabbia dai granelli brillanti…………grazie

  4. anna.vaiana scrive:

    Belle le suggestioni che il tuo racconto riesce ad evocare…tanti I ricordi che affiorano!

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