la (seconda) esperienza in ospedale, oh goduria
Poiché raramente capiterà ad un rappresentante del popolo, tra quelli che il popolo mantiene a caro prezzo per occuparsi di migliorarne le condizioni di vita, di percorrere la normale trafila di un cittadino incidentato che si affidi alle strutture sanitarie pubbliche, gli agevolo il lavoro raccontando l’esperienza di una cittadina comune alle prese con le disfunzioni di un sistema in affanno, magari migliorabile con poco. In ordine, le fasi dell’avventura: l’ambulanza del 118 mi deposita alle 18,30 al pronto soccorso del Policlinico per una più che sospetta frattura del polso, causa scivolone su basola scivolosa di un marciapiede del centro storico, che dio l’abbia in gloria. Ne esco alle 24,45 dopo una trafila inanellata soprattutto di lunghe attese, e mi è andata bene che il mio codice giallo abbia limitato la pena senza conforto di antidolorifico a sole due ore, in una saletta affollata di barellati a turno da lungo tempo, prima che un cortese dottore si occupasse di me spedendomi al reparto radiologia per le necessarie lastre di controllo. Qui viene il bello: i reparti non sono comunicanti, l’ospedale è interessato da lavori di rifacimento (da quanto tempo? I cantieri sono in funzione? E tutta quella polvere e la sporcizia, e i passaggi angusti e sconnessi e il senso di squallore che pervade l’insieme, interno ed esterno? E il senso di provvisorio dappertutto, il patetico fai-da-te per carpire informazioni e indicazioni sul da farsi?), transenne e paratie metalliche sbarrano i percorsi interni obbligando ad uscire da un ingresso per rientrare da un altro dopo un lungo giro esterno, il trasferimento dei pazienti avviene tramite autoambulanza del 118 avvertita telefonicamente volta per volta, ma sono soltanto due per soddisfare tutte le richieste e le attese in ciascun reparto superano anche le due ore.
Poiché l’usuale trafila prevede i seguenti passaggi: accettazione al pronto soccorso, invio al reparto ortopedia per una prima visita, trasferimento alla radiologia per le lastre, ritorno alla ortopedia per l’intervento conseguente, nel mio caso riduzione dolorosissima della frattura e ingessatura del braccio fino all’ascella, ritorno alla radiologia per verificare con ulteriori lastre il successo dell’intervento, rientro in ortopedia per il referto finale da presentare al pronto soccorso per la registrazione e la prenotazione della successiva visita di controllo, ciascuno intervallato dall’attesa del mezzo di trasferimento, il conto delle quasi sette ore di dolorosa permanenza nelle magnifiche stanze e progressive è presto fatto. Non intendo augurare al rappresentante del popolo di competenza di fratturarsi un arto per rendersi conto della situazione, del resto già sperimentata pari pari appena due anni fa al Civico, ma lo invito ad avvalersi della mia gratuita esposizione dei fatti per porre rimedio, nei limiti dei compiti che è chiamato ad assolvere tra una riunione politica e l’altra, alle inefficienze che rendono assai amara la vita a chi non ha santi in paradiso e, in caso di incidente, si affida alle strutture dello Stato, (nel caso, universitarie con nulla da eccepire sul personale medico e para medico che fa quel che può e sa) piuttosto che alle più efficienti e funzionali private.