il presidente senza tricolore
Non un tricolore fuori dai balconi. A porgere il benvenuto da parte dei cittadini più zelanti, qualche cartello dai toni certamente stucchevoli. Per una volta, le strade sono talmente pulite da potervisi specchiare sopra o mangiare per terra, almeno quelle che rientrano nel percorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Caltanissetta il 25 settembre scorso per commemorare i giudici Antonino Saetta e Rosario Livatino, entrambi uccisi dalla mafia.
In molti si accorgono della visita del Presidente solo dalla mole del traffico automobilistico spalmato lungo il corso dell’intera giornata e dal divieto di parcheggio nelle zone adiacenti al Tribunale, luogo in cui si tiene la commemorazione in presenza delle massime autorità locali e regionali. Presente anche qualche esponente di rilievo nazionale, come Rosy Bindi, non nuova a Caltanissetta per le audizioni della Commissione antimafia. Dopo la commemorazione dei due magistrati uccisi, la nuvola di autorità istituzionali si sposta per una breve visita al Cimitero dei Carusi, il sacrario che ricorda la tragedia avvenuta nel 1881 nella miniera Gessolungo, dove morirono anche 19 bambini. L’applauso dei bambini delle scuole elementari, una corona di fiori e via, il mordi e fuggi del Presidente della Repubblica a Caltanissetta si è concluso.
Non poche le difficoltà per la stampa, che ha dovuto seguire i lavori della commemorazione attraverso due schermi collocati in una delle tante aule del Tribunale, senza fare domande. E non poche le grane per i fotografi, che hanno atteso l’arrivo e la partenza del Presidente come i cacciatori che si appostano in attesa della preda col dito sul grilletto (in questo caso sul pulsante della macchina fotografica), pronti a colpire. Certo, una commemorazione è una commemorazione e non ci si può aspettare di più. Una visita di poche parole che non risparmia però la sorpresa di vedere il Procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari, stringere la mano al Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta. Sullo sfondo, il polverone di questa estate per la telefonata con Tutino e un’antimafia sbugiardata, che ha mostrato e continua a mostrare tutte le sue piccolezze e le sue miserie. Ma da una commemorazione non ci si può aspettare altro.
Antonio Saetta è il primo magistrato giudicante ucciso, in Sicilia e in Italia. Accade sulla stessa strada provinciale dove due anni dopo sarà ucciso Rosario Livatino. Saetta è giudice“in primissima linea”. Ha inflitto l’ergastolo a Michele e Salvatore Greco. Ha di nuovo pronunciato la parola “ergastolo” per il terzetto guidato da “Piddu” Madonia per l’omicidio del Capitano dei carabinieri di Monreale, Emanuele Basile. Infine è il giudice che dovrà forse presiedere il Collegio di appello nel maxi processo di Palermo.
Viene assassinato, a soli 38 anni, Rosario Livatino, il “giudice ragazzino”, mentre percorre senza scorta la statale Agrigento-Caltanissetta . L’omicidio è opera di quattro sicari assoldati dalla Stidda agrigentina, una organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra. Del delitto è testimone oculare Pietro Nava, e, sulla base delle sue dichiarazioni, vengono identificati gli esecutori. Livatino s’era occupato della cosiddetta “tangentopoli siciliana” e aveva assestato colpi efficaci ai mafiosi facendo ricorso alla confisca dei loro beni. Per Papa Giovanni Paolo II e’ un «martire della giustizia e indirettamente della fede».