Pirandello in cerca di visibilità
Dopo aver ringraziato per gli applausi scroscianti che hanno premiato la sua lettura drammatizzata della novella La voce, l’attrice Manuela Kustermann si è rivolta al pubblico per comunicare l’emozione provata nel recitare proprio nello studio di Luigi Pirandello e nell’essersi cambiata nell’attigua camera da letto di lui. Ci troviamo infatti a Roma al numero 13 B di Via Antonio Bosio, dove c’è l’ultima dimora di Luigi Pirandello, stretta tra l’elegante Hotel Villa Pirandello e un palazzo di almeno sei piani con un ripetitore altissimo sul terrazzo. Si tratta di un villino liberty dalle linee semplici, con un giardino ghiaioso ricchissimo di piante grasse delle più diverse forme intorno ad una fontana muschiosa senz’acqua. Qui egli visse da solo dal 1933 al 1936, dopo avervi abitato nel 1913-1014 con la famiglia; al secondo piano si trovano un ampio soggiorno-studio, il cui arredo è originale e in cui sono conservati i 2000 libri di sua proprietà, alcuni foderati da lui stesso e gli oggetti d’uso, compresa la piccola macchina da scrivere portatile divenuta il suo inseparabile strumento di lavoro; alle pareti alcuni quadri del figlio Fausto. Per mangiare lo scrittore scendeva al primo piano dove abitava il figlio Stefano; erano entrambi in affitto. Alla morte di Pirandello, avvenuta il 10 dicembre 1936, i figli subentrarono nel contratto di locazione ma, quando il 10 novembre 1938, l’intero villino fu acquistato dallo Stato e adibito a sede dell’Ufficio Centrale Metrico, il Ministero delle Corporazioni pretese l’immediato sgombero dei locali. Fu allora che gli eredi Pirandello, pur di non veder distrutta tale memoria, si dichiararono disposti a donare allo Stato quanto era contenuto nello studio (mobili, quadri, libri, manoscritti, oggetti personali), purché lo Stato a sua volta si impegnasse a consegnare il tutto al Ministero dell’Educazione Nazionale, affinché venisse mantenuto nel modo in cui si trovava.
All”impegno, siglato nel 1942, non fece seguito un’adeguata manutenzione dei locali con il risultato di un progressivo degrado. Soltanto nel 1961, ricorrendo il XXV anniversario della morte di Luigi Pirandello, il Ministero della Pubblica Istruzione, ancora una volta dietro sollecitazione dei figli dello scrittore oltre che di un gruppo di intellettuali, decise di affidarne la custodia all’Istituto di Studi Pirandelliani e sul Teatro Contemporaneo. Nel 1998 l’Istituto ottenne il riconoscimento della personalità giuridica e gli archivi depositati presso l’Istituto furono dichiarati di notevole interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica per il Lazio, a tutto ciò però non corrispose allora e tanto meno corrisponde oggi un adeguato sostegno economico per la conservazione e la fruizione di tale patrimonio e l’Istituto sopravvive al limite della chiusura, organizzando conferenze, letture, proiezioni, costretto a chiedere offerte libere o bonifici ai partecipanti alle iniziative.
Roma sembra aver dimenticato il grande scrittore e drammaturgo che della capitale fece la sua città d’elezione. «Scelsi allora Roma», egli fa dire al protagonista de Il fu Mattia Pascal, «prima di tutto perché mi piacque sopra ogni altra città, e poi perché mi parve più adatta a ospitar con indifferenza, fra tanti forestieri, un forestiere come me». Ed è proprio con indifferenza che la città sembra trattarlo anche adesso, dimenticando di essere stata con la Sicilia la grande protagonista delle opere pirandelliane.
Il luogo è conosciuto da pochi, anche dagli stessi abitanti del quartiere Nomentano Italia, nonostante che studiosi, critici, registi ed attori si adoperino perché l’Istituto abbia visibilità. Ancora le parole di Pirandello ci aiutano a definire questo atteggiamento nei confronti della sua casa-museo. Ne I quaderni di Serafino Gubbio operatore egli fa dire al protagonista: «Studio la gente nelle sue più ordinarie occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch’io faccia: la certezza che capiscano ciò che fanno» ed infatti nei suoi confronti le istituzioni locali e nazionali sembrano non aver capito proprio quello che fanno.
Grazie Clara per questo interessantissimo articolo. Pur vivendo a Roma, nelle stesso quartiere, non ero a conoscenza della storia raccontata. Triste dover confermare che in questa grande città siamo tutti un po’: “Uno, nessuno e centomila”…
Abito a Roma, ma non nel quartiere dove si trova la casa di Pirandello e mi dispiace di aver scoperto solo adesso la sua esistenza e le difficoltà per poterla tenere aperta. Cercherò di seguire le iniziztive che vengono proposte, perchè redo che il luogo dove il grande autore ha vissuto e scritto è un patrimonio prezioso che va valorizzato e salvaguardato.
Sono siciliana e abito a Roma da tanti anni. Non ho scelto di vivere in questa città, ci sono stata costretta per motivi di lavoro. L’indifferenza nei confronti del forestiere, di cui parla Pirandello, non è stata mai per me una condizione di solitudine, ma di libertà rispetto alle costrizioni dell’ambiente soffocante da cui provenivo. Sono contenta di aver saputo che esiste la casa di Pirandello e vi farò un doveroso pellegrinaggio.
In questi tempi in cui si parla spesso (ma non quanto sarebbe necessario) di “emergenza abitativa”, senza che questa sembri trovare soluzione in una città dai tanti mali come Roma, mi commuove quasi pensare che pure i figli di Pirandello, che abitavano come il padre in affitto, ebbero lo stesso destino di tanti nel trovarsi di fronte ad uno…sfratto esecutivo con il dispiacere che quanto appartenuto al padre e la ricca biblioteca potesse venire dispeso!
Sapevo dell’esistenza della casa studio di Pirandello, ma l’ho potuta visitare solo in relazione alle ultime iniziative de Le vie del Festival con le letture di Manuela Kustermann e Andrea Renzi. Sono anch’io rimasto fortemente emozionato oltre che dalla particolarità del luogo, dalla lettura della novella La voce che non conoscevo. Un particolare che mi ha colpito: la piccola macchina da scrivere utilizzata da Pirandello posta tra le due scrivanie dello studio. Un caloroso augurio a coloro che si stanno prodigando per tenere aperto e fruibile questo luogo magico.