ero a Parigi, quel giorno

19 novembre 2015 di: Federica Aluzzo

Pianifico il viaggio per andare a trovare una mia cara amica francese che non vedevo da sette anni, sperando di poter ascoltare una conferenza internazionale sull’alternativa per l’Europa che doveva tenersi proprio a Parigi il 14 ed il 15 novembre 2015. Parto il 12. In aeroporto senza volerlo mi si apre nel cellulare un video di Papa Francesco che parla degli attacchi a Charlie Hebdo, e sull’aereo Roma-Parigi, dentro il quale siamo rimasti chiusi ben due ore senza capire il reale motivo, ho letto la notizia che proprio il 12 mattina in Italia erano stati arrestati 17 presunti terroristi internazionali. A quel punto ho cominciato a percepire la pericolosità del viaggio, ma senza prestare troppa attenzione a quelle paure che pensavo infondate. E voilà, dopo due giorni meravigliosi in giro per diversi quartieri e musei di Parigi, la sera del 13 novembre siamo andate a cenare nel Quartier Latin. Alle 21,30 però, nonostante la tentazione di rimanere ancora un’ora per poter incontrare altri amici, abbiamo preferito rientrare in Hotel (Arty Paris) a sud di Parigi.. non so bene perché, oltre alla stanchezza avvertivo una certa insicurezza che mi stupiva, ma che ho preferito ascoltare. Quindi metro a St. Michel, a due Km dal quartiere degli attentati. Sarebbe bastato attraversare la Senna e camminare 10 minuti per cambiare il nostro destino.

Proprio alle 21,30 sono cominciati i sette tragici attentati. Una telefonata dai miei allarmati dall’Italia mi ha reso consapevole di quello che stava succedendo e che era ancora in corso. Terrore! Siamo scese nella hall dell’hotel dove un gruppo di ragazzi provenienti d tutto il mondo (Canada, Argentina, Cina..) stavano guardando e commentando la tv sgomenti. Nel frattempo qualcun altro arrivava, ma dal sorriso sulle labbra capivamo che ancora non si era reso conto di nulla. Da quel momento tutto è cambiato. Notte quasi insonne per stare allerta ad ascoltare eventuali irruzioni e poi dal giorno dopo siamo entrate come in uno stato di incredulità, di distacco, di osservazione di una realtà proiettata da uno schermo tv, dentro la quale sapevamo di essere, ma nello stesso tempo talmente profondamente lacerante per il mondo intero, che l’unica strada per non farsi prendere dal panico era considerarla lontana. Ma poi bastava leggere i 450 messaggi di solidarietà che mi arrivavano su facebook, vedere le immagini, o il nastro nero di google per ripiombare nella realtà, e capire la gravità di quanto stava avvenendo.

Ma un po’ come durante una veglia funebre, nonostante tutto c’erano momenti di aggregazione in cui si scherzava, si giocava, in cui la vita sembrava volerci richiamare a sé con tutta la sua forza. Meglio allora staccare la spina e non guardare la Tv per alcune ore. Intanto le chiamate ed i messaggi dei miei cari dall’Italia aumentavano. Anche in questi momenti il mio corpo reclamava attenzione facendo nascere l’esigenza del movimento. Via dunque alla danza del diamante ripetendo la frase: non mi identifico col passato, non mi importa del futuro, scelgo di essere amica del momento presente, con Fede (je ne me identifie pas au passé, le futur ne m’importe pas, je choisi d’être amie avec le moment present, avec la foi) ripetuta più volte nella hall. E Infine domenica mattina, ultima ora prima di partire, passeggiata nel giardino dove abbiamo creato la danza della Pace. Momento commovente in cui ho chiesto ad un ragazzo di colore se voleva danzarla con me ed ha accettato, uno di fronte all’altro sulle note di Imagine di John Lennon. Incredibile esperienza di condivisione, poetica, ma interrotta dal più grande nemico del momento: la paura. Non ha voluto che riprendessimo e diffondessimo un video su internet. Volo di ritorno lontana dalle masse, in aeroporto seduta a terra vicino l’uscita di emergenza e poi da Roma a Palermo sana e salva, a differenza delle 130 vittime innocenti di Parigi. Un viaggio che è coinciso con un cambiamento epocale. Voglia di vivere e rabbia non solo per gli attacchi a Parigi, ma anche per quelli in Siria che colpiscono civili e bambini, per quelli in Beirut, in Yemen, in Palestina, in Iraq. Basta all’ipocrisia. Bisogna essere seri. Per capire quello che sta succedendo oggi si deve approfondire anche il passato, e smetterla di vivere come in una fiaba in cui da un lato sta il buono e dall’altro il cattivo. Le responsabilità di tutto questo di chi sono? Non sta a me rispondere… ma è una domanda che mi accompagnerà per il resto dei miei giorni.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement