si fici scuru scuru …

3 novembre 2015 di: Rosanna Pirajno

“Cchiù scuru ri menzannotti ‘un po’ fari” è un detto popolare che invita all’ottimismo, parendo implicito che dopo il massimo dell’oscurità per la natura delle cose debba accendersi luce. Per non cedere allo sconforto, lo applico a quanto sta succedendo in questo Paese che frana sotto i colpi della corruzione e della mala politica, e in particolare in Sicilia, specchio deformante e “principio di tutto” come già aveva intuito lo straniero Goethe.

I fatti: Messina è rimasta senza acqua corrente per un settimana, causa rottura delle condotte idriche investite da una delle frane che interessano il messinese da alcuni anni, non da ora. La gente in coda a fontanelle e autobotti con bidoni e bottiglioni, il mercato nero subito attivatosi per la fornitura di acqua e contenitori, il responsabile di cantiere che ripara il tratto interrotto ma non scommette sulla durata, il sindaco Accorinti che sembra sopraffatto dagli eventi, tutto questo disegna una Sicilia poveraccia che assomma questo ennesimo affronto a quelli ancora freschi di cronaca.

Per ricordare: crolli di piloni autostradali e frane di tratti di e su altre strade, nodali per la circolazione di merci e persone che da oltre un mese è carente, difficoltosa, costosa; balletto di assessori e consulenti al governo regionale, con un cambio così frequente di giunta che non si fa in tempo a programmare un convegno “con” assessore che quello già non c’è più; scoperte una dietro l’altra di sistemi di mazzette ad alti livelli, antimafia, anas, confcommercio, rete ferroviaria e non so cos’altro, che se finissero tutti in galera gli alti dirigenti indagati ci sarebbero gravi problemi di gestione dell’ordinaria amministrazione, come è successo al Comune di Sanremo decimato di impiegati e dirigenti assenteisti.

E in tutto questo, il crollo di un mito, nonostante fossimo già avvertite della presa del potere delle donne nella galassia mafiosa: anche le donne rubano, imbrogliano, corrompono e si lasciano corrompere, sono permeabili alle lusinghe del potere e del moooolto denaro, usano il medesimo linguaggio dei peggiori impostori, si arricchiscono illecitamente ed allegramente sulla pelle dei poveracci che capitano a tiro. La parità è raggiunta, finalmente, e nell’ultimo scenario le siciliane si fanno onore. A Palermo la giudice Silvana Saguto, presidente della sezione dei beni confiscati alla mafia, colta con le mani nel sacco nelle provvidenziali intercettazioni che hanno mostrato al mondo di quanta spregiudicatezza di atti e di espressioni e terminologie sia capace una donna quando agisce da provetto mafioso. Una così, con quei modi e linguaggio crudi e volgari, come è arrivata a quel posto, con quali appoggi e quali imbrogli pregressi?

A Roma la “dama nera” Antonella Accroglianò, dirigente Anas che andava in ufficio solo per raccattare tangenti, stakanovista delle pratiche che fruttassero sostanziose contropartite pecuniarie, alias mazzette, tangenti, bustarelle offerte da vittime e complici posto domicilio: la scrivania del suo ufficio presa di mira dalla microspia della GdF, finalmente allertata da qualcuno insospettito. O rimasto fuori dal giro, chissà.

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