Il governo e il Sud che non c’è dal “Corriere della Sera” del 21.12.15
…L’addio al Mezzogiorno prima che culturale è stato ideologico e politico. È cominciato a partire dalla metà degli anni Ottanta, quando la centralità sempre maggiore del tema della legalità ha preso a fare del Sud, patria delle maggiori organizzazioni criminali europee, se non mondiali, il terreno del negativo e del male per antonomasia. Rapidamente tutto ciò che riguardava il Sud, a cominciare dalla sua classe politica, ha acquistato un sapore di imbroglio, di corruzione, di raccomandazioni. Certo: il resto d’Italia non era da meno. Però lo era di meno. E così, chiusa la Cassa del Mezzogiorno – nell’opinione corrente divenuta unicamente simbolo di spreco e di sottogoverno, mentre invece è stata anche molte altre cose buone – stanziare soldi per il Sud è diventato sempre più problematico politicamente, alla fine impossibile. Il Sud è uscito dall’agenda dei governi…
Ciò che colpisce di questa situazione è la sostanziale assenza di una reazione forte e continua da parte dell’opinione pubblica meridionale e di chi dovrebbe darle voce. Mancano larghi dibattiti, autocritiche, progetti: mancano gruppi attivi, iniziative di mobilitazione duratura, leader moderni e capaci. Le eccezioni sono la conferma della regola. È la società civile del Mezzogiorno che si direbbe ormai disanimata, svuotata di energie, perfino quasi di risorse intellettuali desiderose e capaci di parlare al Paese, come pure in passato tante volte essa ha fatto. In queste condizioni le continue richieste di fondi per i casi più vari che dal Sud si muovono allo Stato finiscono inevitabilmente per apparire più che altro come la richiesta di inutili mance. Specie se poi vengono soddisfatte.
Come stupirsi allora se nella «narrazione» di Renzi il Sud non ci sia? Senza il Sud, però, è difficile che possa esserci una «narrazione» dell’Italia, tanto più un progetto per il suo futuro. Senza il Sud infatti non esiste neppure l’Italia, esiste un’altra cosa, un altro Paese. È questo un punto cruciale – e insieme il punto più debole, mi pare – del discorso del nostro presidente del Consiglio. Se ci si propone di governare l’Italia per dieci anni – come pare che egli voglia fare – allora è impossibile farlo solo da Firenze (al massimo con una propaggine a Milano e dintorni). Così come è impossibile farlo ripetendo e twittando raffiche di «rimbocchiamoci le maniche», «la svolta è vicina», «siamo ripartiti» o incitamenti simili. Sembra necessario qualcosa di più: qualcosa che guardi più lontano e più in alto , che risponda a questioni di fondo. Che connetta il passato con il futuro, i pochi con i molti, chi ha di più con chi ha di meno, il Nord con il Sud, appunto.