SfraGelli d’Italia da “La Stampa” del 17.12.15
Di Licio Gelli ho sempre trovato sconvolgente il divario tra l’enormità della sua influenza e la pochezza della sua cultura. Quando uno immagina il Potere tende a raffigurarsi luoghi inaccessibili solcati da creature eteree e raffinate che decidono le sorti degli altri mettendo intelligenza e competenza al servizio di cinismo e crudeltà. Licio Gelli parlava un italiano da terza elementare, trafficava in affari dozzinali e tesseva trame da operetta in una stanza d’albergo di via Veneto dove riceveva cialtroni e spioni, generali e sensali, complottisti e fancazzisti. Era un trapezista del nulla, capace di saltare con una capriola dal fascismo all’antifascismo e di infilarsi in tutti i posti dove ci fosse odore di chiuso e non per aprire le finestre, ma per abbassare le serrande. Non esiste mistero italiano da cui non spunti la sua faccia di italiano qualunque, più furbo che intelligente. E questo la dice lunga sulla qualità mediocre che da noi hanno persino i misteri.
Mi sono sempre chiesto come mai il Gotha della politica, dell’amministrazione, del giornalismo e dell’imprenditoria si sia servito o messo al servizio di questo misirizzi di provincia, privo di carisma e capace di mettere insieme un cardinale con un generale, ma non tre frasi di senso compiuto. L’unica risposta possibile è che la nostra classe dirigente di intrallazzoni raccomandati senza spessore vale anche meno di Gelli. Allora come oggi, chi ha talento e passione non ha tempo per tramare e millantare, cioè per acquisire potere. È troppo impegnato a lavorare.