reprimenda e finalità educativa delle punizioni
La cronaca presenta di frequente notizie relative ad episodi spiacevoli che avvengono entro o nei dintorni del contesto scolastico. Si tratta di avvenimenti dettati da arroganza, vera e propria prepotenza o intolleranza e, nei casi più gravi, atti di bullismo perpetrati da ragazzi “difficili” ai danni di coetanei.
Quali sono le soluzioni che la scuola può adottare per arginare questo problema? Scrivere una nota sul registro o sul diario personale degli alunni indisciplinati spesso lascia il tempo che trova, soprattutto se si tratta di ragazzi che partecipano in modo non adeguato alle richieste minime, non rispettano i compagni di diversa nazionalità o in situazioni di disagio, non riferiscono in famiglia le comunicazioni provenienti dalla scuola e dagli insegnanti. Inoltre le famiglie, quando presenti, nel caso di alunni “difficili”, non sempre riescono ad accettare le segnalazioni negative che riguardano i propri figli.
La tendenza generale è quella di attribuire la responsabilità del pessimo comportamento segnalato, all’incapacità degli insegnanti di gestire le situazioni o al comportamento indisciplinato degli altri compagni di classe. Punire tutta la classe a causa del comportamento scorretto di qualcuno è ingiusto. Le punizioni dovrebbero avere una funzione educativa e non fine a se stessa. Chi punisce dovrebbe avere una comprensione totale del concetto di punizione, se vuole che i castighi siano efficaci. Generalmente nessun educatore vorrebbe “punire” un educando per gravi mancanze disciplinari.
A volte, comunque, sembra che non ci siano altre opzioni. In ogni caso, la punizione è considerata sempre l’ultima possibilità di intervento dopo vari ed inutili tentativi dettati dal buon senso e dall’esperienza. Punire un alunno che si comporta male mandandolo nel corridoio è illegale, perché viene meno il dovere di sorveglianza. Mandare l’alunno “disturbatore” in un’altra classe vuol dire ammettere di essere incapace di gestirlo. Emarginare, isolare un alunno, allontanandolo da una situazione che è diventata ingestibile, non garantisce che in un altro contesto si comporterà meglio.
Il Regolamento d’Istituto prevede la sospensione e l’abbassamento del voto in condotta per chi non rispetta le regole condivise ma … con quale finalità educativa? Quello delle punizioni appare dunque un tema spinoso, ma, ancora di più, lo è quello della qualità del lavoro degli insegnanti, spesso penalizzata dall’ aggressività e dall’intemperanza degli adolescenti. Appare ancora più difficile cercare la soluzione di questo complesso problema con degli incontri scuola-famiglia: si deve seguire un filo comune nell’educazione dei ragazzi altrimenti si rischia di navigare nel mare dell’incomunicabilità e delle emozioni contrastanti.
Spesso un adolescente può essere educato e riservato a casa ma non altrettanto a scuola, con grande meraviglia dei genitori convocati per discutere dell’andamento disciplinare del loro tanto amato ma tanto sconosciuto pargolo.
Ci sono ragazzi che si insultano e non si rispettano e poi negano l’evidenza…che si fa? I genitori di chi ha “subito”, offesi, chiedono spiegazioni. I furbetti negano e sostengono che la loro vittima è bugiarda. Qual è la funzione di un insegnante a questo punto? Punire non serve, i genitori si offendono, dobbiamo ricorrere allo psicologo scolastico in ogni circostanza, anche la più banale? Gli insegnanti hanno perso la loro autorevolezza!
Si deve fa ragionare l’alunno utilizzando tutti gli strumenti che l’esperienza ci detta ma, in certi casi, bisogna far aprire gli occhi ai genitori sulla realtà degli adolescenti che è quella del gruppo,le cui dinamiche possono apparie oscure e sconosciute. La soluzione è un confronto e una reale condivisione di regole di comportamento con le famiglie.
Piuttosto che punire è importene responsabilizzare e, dunque, far capire che è inutile compiere azioni che possono infastidire un proprio compagno. Come fare? Rapporto uno a uno. Faccia a faccia. Parlare con l’alunno e chiedergli la motivazione del suo comportamento. Fermarsi un attimo, massima tranquillità, guardarlo negli occhi, sorridergli, parlargli con tono gentile, chiedergli . Funzionerà? Non è detto! Bisogna pur cominciare a dare un senso alle azioni che si compiono.
L’atteggiamento degli adulti deve, in qualche modo, sorprendere l’adolescente che, forse, semplicisticamente, si aspetta solo di essere “punito” mentre si ritrova ad essere ascoltato.
più che importante…fondamentale rendere consapevole, invitare un essere umano a farsi delle domande, invitarlo ad interrogare la propria coscienza, chiedergli “perché lo hai fatto?”
Leggendo l’articolo pensavo che la massima espressione “punitiva” di una società si esprime attraverso il carcere. Ma cosa ne è del principio, affermato in via teorica, in base al quale la detenzione oltre che privare il reo della propria libertà, dovrebbe avere anche e soprattutto un aspetto rieducativo al fine della riabilitazione dell’individuo stesso?
La punizione, nei contesti educativi, come la famiglia e la scuola, è l’ammissione della resa al “discolo/a”. È un’ammissione di debolezza e di soluzione spicciola. Sono d’accordo con Tommaso: fare dire loro le loro ragioni; farli argomentare. D’altronde è anche questo un compito educativo. Gli insegnanti devono ricordare ai genitori che sono loro, i genitori, i responsabili dell’educazione dei loro “pargoli” e non la scuola che ha altre responsabilità ma non certo quella di fare da “governanti ” o da baby sitter ad alunni selvaggi e disadattati.
I problemi sono 3:
1) Scarsa autorevolezza della FIGURA DOCENTE. Il genitore è il reale responsabile di questa situazione in quanto non è in grado di dare un valore al pubblico ufficiale che, giuridicamente parlando, è proprio l’insegnante. Lo scarso rispetto e la mancanza di fiducia dell’alunno nei confronti dell’insegnante nasce da qui: se il genitore è il primo a non rispettare tale figura perché mai dovrebbe farlo il figlio/alunno minorenne che tende inevitabilmente ad osservare, positivi e negativi che siano, i comportamenti del genitore?
2) Incapacità di credere nella scuola in quanto ISTITUZIONE FORMANTE nella vita: i cambiamenti da 10-15 anni a questa parte, vedi l’avvento di internet e altre forme di comunicazione lontane dalla cultura e dalla scuola, ha dato vita solo a “regresso” nello sviluppo dell’ente educativo. Ormai i genitori stessi tendono a dare importanza a cose non concernenti la scuola e ovviamente la stessa finisce per passare in secondo piano
3) Ultimo punto, forse il più importante: CHI ha veramente il potere di indirizzare le menti, ormai manipolate solo da superficialità e apparenza, oltre e non adempiere ai propri doveri, mostra il disinteresse in prima persona. Mi riferisco ovviamente al mondo della politica, capace solo di pensare a come attirare nuovo investitori internazionali, combattere guerre non sue e ASSOLUTAMENTE INCOMPETENTE NELLA VALORIZZAZIONE di quei fattori che hanno sempre dato lustro all’Italia NEL MONDO:TURISMO, CUCINA, ARTE, CULTURA E ISTRUZIONE.
Concludendo:se le fondamenta/radici (noi adulti) sono fragili e incuranti su tutto, perché non dovrebbero esserlo ancor di più le ramificazioni ( i figli/alunni) ?
Non esistono soluzioni perfette, nelle quali tutte le parti in causa non abbiano un surplus di lavoro o debbano rinunciare a momenti importanti del proprio lavoro, al quale hanno dedicato tutta una vita. Scegliere strategie relazionali condivise, però, può essere basilare per i ragazzi che purtroppo hanno pochi punti di riferimento e poche regole da seguire al di fuori della scuola. Non possiamo permettere ai ragazzi di credere che possono fare ciò che vogliono, quando vogliono e con chi vogliono, boicottando spesso il nostro lavoro e calpestando il diritto allo studio di chi nella formazione ci crede. Essere sempre troppo comprensivi spesso non restituisce i risultati attesi. Forse potrebbe essere utile confrontarsi di più e a volte cercare di mettere da parte il nostro carattere per il bene comune.
La scuola non è soltanto un luogo dove si trasmettono competenze ma anche dove vengono date indicazioni su come i ragazzi devono comportarsi per la loro vita. A mio avviso, il rispetto delle persone e delle regole che, all’interno di una scuola esistono, devono essere tenuti sempre presente da ciascuno di noi. Altrimenti mi chiedo: A cosa serve la valutazione per il comportamento di ogni singolo alunno? Ad ogni modo nessuno di noi detiene la verità assoluta.Non dimentichiamo che per molti ragazzi costituiamo il riferimento che fuori dalla scuola non c’è e che da noi vogliono soprattutto la coerenza. In quanto alla bocciatura, se un ragazzo ha le capacità e non studia, non vedo il motivo per il quale debba essere promosso; è come se, intrinsecamente, gli dicessimo: bravo, non hai lavorato e ti diamo il premio. Messaggio sbagliato perché la vita non è questa e la realtà che dovrà affrontare sarà sicuramente difficile con molte salite. Credo che dovremmo fare chiarezza dentro di noi e fare quello che sia più giusto per i ragazzi.
Mi sembra incredibile che non si possa lasciare 5 minuti l’alunno scomposto gravemente in corridoio con la porta aperta e la classe comunque a monitorarlo o persino sul ciglio della porta – allora non si potrebbe nemmeno lasciarli uscire in bagno e se hanno un momento personale, una delusione, un rammarico non potremmo lasciarli andare nemmeno dal personale ausiliario, i collaboratori scolastici infatti hanno certamente una valenza educativa, possono preoccuparsi di un momento di ristoro e di quiete in modo cha la persona dello studente e della studentessa che attende ad esempio un genitore, durante la pandemia, possa essere assistito. Lo trovo assurdo in quanto se viola pesantemente il diritto di apprendimento della classe, e i suo medesimo, senza esserne consapevole, il blando stare fuori con la porta aperta serve proprio a dargli uno strumento di osservazione della classe in assenza del suo modus reattivo. Questa consapevolezza di aver agito in modo difforme e negativo, reattivo e inconciliabile verso il danno fino al ripristino del contegno, lo percepisce in modo tempestivo: a. può osservare, ascoltare, vedere i compagni nel loro agito riprendere qualcosa, dialogare con l’insegnante, uscire dal meccanismo repressivo in classe che consta di alzate di toni, minacce di note sul registro, minacce di note sul diario, o persino di compiti. Secondo me ed è una regola persino della polizia, la porta aperta garantisce lo spiraglio di far capire alla persona che può in ogni momento che lui lo chieda rientrare pienamente in aula. La porta chiusa con fuori l’alunno ostaggio di se stesso, invece credo sia un grave errore perché lo fa sentire perso, propone ferite diverse nel suo mondo interiore quale la non integrazione tra i compagni che attraverso le forme della complicità e del così fan tutti. La porta aperta, e le attività di installazione di attanti osservatori tra i compagni neutri, che possono aiutare dicendo forse sei scomposto o forse stai alzando la voce o forse stavi chiaccherando, tra i disturbi minori, sulla stregua del plida, segnalando con le note solo gli episodi esagerati, che andrebbero forse condivisi con il coordinatore e con il Dirigente, accompagnandoli in Dirigenza o dal Vicario in sua vece, servono a trovare un clima consuetudinario, famigliare in cui correggersi non sia sbagliato, non sia li la punizione, non sia fastidioso ma al contrario ci sia qualcosa che premia nel sapersi correggere che si testimonio con il ritorno del nostro o della nostra studentessa all’attività. Io credo che i singoli Istituti dovrebbrero trattare e deliberare questi aspetti e non decidere una tantum ‘fuori dalla porta e stai fuori tutta l’ora con la porta chiusa’ che si capisce benissimo che è inammissibile sotto ogni profilo educativo e di responsabilità verso il minore di cui la scuola è custode.
err corrige
Mi sembra incredibile che non si possa lasciare 5 minuti l’alunno scomposto gravemente in corridoio con la porta aperta e la classe comunque a monitorarlo o persino sul ciglio della porta – allora non si potrebbe nemmeno lasciarli uscire in bagno e se hanno un momento personale, una delusione, un rammarico non potremmo lasciarli andare nemmeno dal personale ausiliario; i collaboratori scolastici infatti hanno certamente una valenza educativa, possono preoccuparsi di un momento di ristoro e di quiete in modo cha la persona dello studente e della studentessa, che attende ad esempio un genitore, durante la pandemia, possa essere assistito. Lo trovo assurdo perché il danno di stress che arreca è enorme, in quanto se viola pesantemente il diritto di apprendimento della classe, quello del docente di insegnare, il realtà ciò che causa stress è il violare del suo medesimo, in quanto a non esserne consapevole, finisce per essere tutta la classe, ignara dei motivi reali dello stress e di come potervi riparare senza finire in un battibecco continuo tra pari. A mio avviso, il blando stare fuori con la <> serve proprio a dargli uno <>. Questa consapevolezza di aver agito in modo difforme e negativo, reattivo e inconciliabile verso il danno fino al ripristino del contegno, lo percepisce in modo tempestivo: a. può osservare, ascoltare, vedere i compagni nel loro agito riprendere qualcosa, dialogare con l’insegnante, uscire dal meccanismo repressivo e passivo, in cui il despota costringe la classe alla complicità in classe e che consta di alzate di toni, minace ai docenti, insulti a chi non è d’accordo, cui si risponde a volte o spesso, facendo il suo stesso errore forse, con minacce di note sul registro, minacce di note sul diario, o persino di resa di compiti, che portano ad altro stress e allontanano il docente dal desiderio di fare dell’ora di lezione tesoro per la maturazione e la creatività, le competenze e le inclusività.
Secondo me ed è una regola persino della polizia, solo la porta aperta garantisce lo spiraglio di far capire alla persona che può in ogni momento, che sia chiesto spontaneamente o richiesto dall’insegnante (limite del tempo del bagno per esempio), rientrare pienamente in aula. La porta chiusa con fuori l’alunno ostaggio di se stesso, invece credo sia un grave errore perché lo fa sentire perso, propone ferite diverse nel suo mondo interiore quale la non integrazione tra i compagni che attraverso le forme della complicità e del così fan tutti. La porta aperta, e le attività di installazione di attanti osservatori tra i compagni, neutri, che possono aiutare dicendo forse sei scomposto o forse stai alzando la voce o forse stavi chiaccherando e non hai sentito, chiedi per favore, scusati del disturbo, tra i mali minori, sulla stregua del plida: segnalando con le note solo gli episodi esagerati, che andrebbero forse condivisi con il coordinatore e con il Dirigente, accompagnandoli in Dirigenza o dal Vicario in sua vece, come framework per rielaborare effettivamente l’evento che causa il disagio se si può, servono a trovare un clima consuetudinario, famigliare in cui correggersi non sia sbagliato, non sia li la punizione, non sia fastidioso ma al contrario ci sia qualcosa che premia nel sapersi correggere, che è testimoniabile con il ritorno del nostro o della nostra studentessa all’attività. Io credo che i singoli Istituti dovrebbero trattare e deliberare regole e modalità di risposta e aiutare gli insegnanti che non sapendo cosa fare, alzano il tono ed escono dalla sordina utile ad insegnare nella quiete mentale; intanto cercando di capire i disagi e trovando alternanze di spazi dove la persona che si va ad educare possa attivare le sue competenze e non viverle solo dal punto di vista virtuale e teorico, in modo da facilitare l’autovalutazione e non decidere una tantum ‘fuori dalla porta e stai fuori tutta l’ora con la porta chiusa’ che si capisce benissimo che è inammissibile sotto ogni profilo educativo e di responsabilità verso il minore di cui la scuola è custode.
Sperando in una Vostra risposta
saluti
Tania
err corrige
Mi sembra incredibile che non si possa lasciare 5 minuti l’alunno scomposto gravemente in corridoio con la porta aperta e la classe comunque a monitorarlo o persino sul ciglio della porta – allora non si potrebbe nemmeno lasciarli uscire in bagno e se hanno un momento personale, una delusione, un rammarico non potremmo lasciarli andare nemmeno dal personale ausiliario; i collaboratori scolastici infatti hanno certamente una valenza educativa, possono preoccuparsi di un momento di ristoro e di quiete in modo cha la persona dello studente e della studentessa, che attende ad esempio un genitore, durante la pandemia, possa essere assistito. Lo trovo assurdo perché il danno di stress che arreca è enorme, in quanto se viola pesantemente il diritto di apprendimento della classe, quello del docente di insegnare, il realtà ciò che causa stress è il violare del suo medesimo, in quanto a non esserne consapevole, finisce per essere tutta la classe, ignara dei motivi reali dello stress e di come potervi riparare senza finire in un battibecco continuo tra pari. A mio avviso, il blando stare fuori con la porta aperta serve proprio a dargli uno strumento di osservazione della classe in assenza del suo modus reattivo. Questa consapevolezza di aver agito in modo difforme e negativo, reattivo e inconciliabile verso il danno fino al ripristino del contegno, lo percepisce in modo tempestivo: a. può osservare, ascoltare, vedere i compagni nel loro agito riprendere qualcosa, dialogare con l’insegnante, uscire dal meccanismo repressivo e passivo, in cui il despota costringe la classe alla complicità in classe e che consta di alzate di toni, minace ai docenti, insulti a chi non è d’accordo, cui si risponde a volte o spesso, facendo il suo stesso errore forse, con minacce di note sul registro, minacce di note sul diario, o persino di resa di compiti, che portano ad altro stress e allontanano il docente dal desiderio di fare dell’ora di lezione tesoro per la maturazione e la creatività, le competenze e le inclusività.
Secondo me ed è una regola persino della polizia, solo la porta aperta garantisce lo spiraglio di far capire alla persona che può in ogni momento, che sia chiesto spontaneamente o richiesto dall’insegnante (limite del tempo del bagno per esempio), rientrare pienamente in aula. La porta chiusa con fuori l’alunno ostaggio di se stesso, invece credo sia un grave errore perché lo fa sentire perso, propone ferite diverse nel suo mondo interiore quale la non integrazione tra i compagni che attraverso le forme della complicità e del così fan tutti. La porta aperta, e le attività di installazione di attanti osservatori tra i compagni, neutri, che possono aiutare dicendo forse sei scomposto o forse stai alzando la voce o forse stavi chiaccherando e non hai sentito, chiedi per favore, scusati del disturbo, tra i mali minori, sulla stregua del plida: segnalando con le note solo gli episodi esagerati, che andrebbero forse condivisi con il coordinatore e con il Dirigente, accompagnandoli in Dirigenza o dal Vicario in sua vece, come framework per rielaborare effettivamente l’evento che causa il disagio se si può, servono a trovare un clima consuetudinario, famigliare in cui correggersi non sia sbagliato, non sia li la punizione, non sia fastidioso ma al contrario ci sia qualcosa che premia nel sapersi correggere, che è testimoniabile con il ritorno del nostro o della nostra studentessa all’attività. Io credo che i singoli Istituti dovrebbero trattare e deliberare regole e modalità di risposta e aiutare gli insegnanti che non sapendo cosa fare, alzano il tono ed escono dalla sordina utile ad insegnare nella quiete mentale; intanto cercando di capire i disagi e trovando alternanze di spazi dove la persona che si va ad educare possa attivare le sue competenze e non viverle solo dal punto di vista virtuale e teorico, in modo da facilitare l’autovalutazione e non decidere una tantum ‘fuori dalla porta e stai fuori tutta l’ora con la porta chiusa’ che si capisce benissimo che è inammissibile sotto ogni profilo educativo e di responsabilità verso il minore di cui la scuola è custode.
Sperando in una Vostra risposta
saluti
Tania
ps.: cancellate per favore i post antecedenti