sei donna, devi essere madre, perché?

14 aprile 2016 di: Elena Ciofalo

Giunto alla sua XXIII edizione, lo scorso 25 marzo si è concluso a Milano il Film Festival Sguardi Altrove. La manifestazione è da sempre attenta alla raccolta e valorizzazione di produzioni cinematografiche femminili, rappresentando spesso l’unico spazio, in Italia, per la presentazione di un certo tipo di prodotti audiovisivi. Allo spazio Oberdan, e in sale limitrofe, si sono susseguite presentazioni, dibattiti, e soprattutto film e documentari declinati al femminile, sia nei temi che nella regia.

Tra le varie proposte, la sera del 21 marzo, la direttrice del festival Patrizia Rappazzo, ha coordinato un incontro sulla scelta femminile della (non) maternità, introdotto dalla proiezione di due film documentari e la presentazione di un libro.

«La maternità va marginalizzata, ridimensionata, la devi vivere come una voglia e una cosa come tante nella vita, forse come poche, ma comunque come altre». Si apre con questa considerazione il documentario “Stato interessante”, di Alessandra Bruno, ma le tormentate storie raccolte dalla regista ci fanno capire che accettare questo stato di cose non è sempre facile e senza rimorsi.

Con stile esteticamente curato, costruito su colori accesi e volti morbidi, la Bruno seleziona alcune storie di donne il cui orologio biologico ticchetta inesorabilmente, inducendo loro a confrontarsi con il mancato appuntamento con la maternità. Le donne si pongono domande su se stesse e sulla loro scelta di diventare eventualmente madri, sfruttando le ultime possibilità offerte dal loro corpo, o fermarsi, realizzando che va bene così. La camera indugia nelle cucine, sui divani, negli abitacoli delle auto, in spazi, insomma, intimi, che si alternano a spazi pubblici, come i consultori, e viaggia per l’Italia attraverso accenti romani, milanesi, siciliani. Il viaggio racconta tanti modi di essere donna e di domandarsi su cosa si fondi la propria femminilità. Scelte estetiche differenti accompagnano e caratterizzano le varie donne del documentario. Man mano che i dubbi si sviluppano, la fotografia e le riprese esaltano luci ed ombre delle protagoniste.

Ilaria ha gli occhi grandi ed è ricoperta di tatuaggi, prova invano ad avere un figlio da 11 anni con il suo compagno e comincia a chiedersi se l’abbia mai voluto veramente. Così, nell’indagare sul perché non riesce a concepire, tende a delegare all’aspetto clinico la decisione sull’avere o meno un figlio. Anna nuota, come se volesse purificarsi, come se volesse rinascere, e ricorda l’interruzione di gravidanza della sua gioventù, quando il suo compagno le chiese di abortire. Paola ha una morbida chioma dorata, e un figlio «forse io non lo voglio. Però vorrei…», e ne discute lungamente con il suo uomo. Chiara ha trovato una compagna con cui ha deciso di avere un bambino, e si attiva per il lungo iter burocratico sanitario della fecondazione assistita, per il quale deve trovare un compagno fittizio con cui richiedere le pratiche.

C’è memoria, indecisione, sessualità, accettazione. C’è un caleidoscopico percorso in cui ogni donna affronta a modo suo il proprio limitare alle soglie della maternità. Così, mentre alcune di loro riescono a lasciare andare l’idea di un figlio con la delicatezza di un soffione al vento, altre si struggono, senza più sapere cosa davvero desiderano.

Un documentario più artigianale è invece “Sbagliate”, di Daria Menozzi e Elisabetta Pandimiglio. La scelta stilistica si focalizza molto sulla dimensione di ricerca, raccolta, incontro e confronto di tanti gruppi di donne, riprese in contesti di raduno informale.

Stavolta, però, il documentario indaga un momento di vita diverso delle donne coinvolte. Queste, infatti, ormai troppo mature per diventare madri, spiegano i propri “no” alla maternità, lasciando emergere scelte caparbie e difficili per affermare se stesse e la propria identità a tutto tondo, senza aver avuto bisogno di diventarci, tonde. Quindi, non ritroviamo l’insicurezza e il disagio delle donne nel precedente documentario, ma molta autoconsapevolezza. Queste donne hanno realizzato con fermezza che «la realizzazione non passa per un figlio», e che l’assillo di chi le pretendeva madri è terminato con la menopausa, che ha significato liberazione, perché da quel momento «non me lo hanno più potuto chiedere».

Nella fase conclusiva dell’incontro, Paola Leonardi – sociologa e psicoterapeuta, attivista nel movimento delle donne – ha introdotto il libro “Perché non abbiamo avuto figli”, scritto a quattro mani con Ferdinanda Vigliani, presentando inoltre il Centro Autostima Donne e il sito www.autostimadonne.it. La Leonardi ha, inoltre, ricordato una conquista storica e sociale molto importante. Oggi, la maternità in Italia è diventata scelta, mentre prima era destino. E per questo bisogna fare riferimento al femminismo e alle sue lotte, che hanno cambiato radicalmente il modo di intendere la maternità, introducendo la possibilità di non viverla, senza perdere nulla della propria dimensione di donna.

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