Piccole storie, grandi donne. Svetla Encheva, attivista per i diritti umani in Bulgaria
Petya Deneva è nata a Balchik, in Bulgaria, ed è un’artista freelance. Come creativa, è sempre alla ricerca di ispirazione, dedita alla scoperta di ciò che sta oltre la barriera del visibile. Petya ha raccolto un’intervista con Svetla Encheva, attivista per i diritti umani. Svetla Encheva è laureata in filosofia, ha lavorato come docente e sociologa presso il Centro di Studi Democratici di Sofia, e adesso si occupa di giornalismo. Ma soprattutto, è sempre stata un’attivista nel campo dei diritti umani e della giustizia sociale.
Potresti fornirci una sintetica descrizione dei principali problemi che le minoranze vivono in Bulgaria?
Si tratta di persone invisibili. L’unica cosa che la maggioranza della popolazione nota in loro è ciò che le rende marginali, così ogni altra qualità rimane ignorata. Nella percezione della maggior parte delle persone, coloro che soffrono di disabilità “stanno in mezzo”, gli zingari “sono ladri”, gli omosessuali “vogliono rendere i tuoi figli come loro”, i rifugiati “sono terroristi e portano malattie”, e così via. A scuola, questo problema è particolarmente severo. Il sistema educativo, in Bulgaria, non riconosce e garantisce supporto per i bambini che soffrono di dislessia o disturbi dell’apprendimento. Certo, le eccezioni esistono, ma sono in gran parte a carico della responsabilità di singoli docenti, non relativi a norme e regolamenti del sistema scolastico.
Quali sono, secondo te, i mezzi per contrastare l’ignoranza, il pregiudizio e l’odio?
Parlare. Denunciare. Aumentare la visibilità. Coloro che odiano chiunque differisca da loro non sono predisposti a cambiare opinione, quindi con loro sarebbe una lotta persa in partenza. Le mie attività di sensibilizzazione si rivolgono a coloro che ancora non hanno un’opinione sulla causa in questione, e mirano anche a convincere coloro che condividono le mie stesse opinioni su quanto sia importante la difesa del proprio punto di vista.
Ci parli di una tua vittoria personale?
Non amo competere, preferisco collaborare, e in questo senso raramente rifletto sulle vittorie. Ma c’è una campagna a cui ho partecipato: il rilascio di una giovane donna armena incinta dal centro di detenzione per immigrati in Busmantsi, una cittadina bulgara, nel 2010. Ho contribuito alla sua liberazione attraverso la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Alla fine è stata rilasciata ed è tornata dal suo uomo. Ancora adesso, entrambi non hanno documenti di identità e hanno due figli “illegali” per nascita. Ma si amano e sono felici.