Brass Group: a che punto siamo?
Sono passati quasi tre mesi da quando Ignazio Garsia decise, per quattro giorni, di protestare davanti a Palazzo dei Normanni con il suo pianoforte. Giorni nei quali, come è giusto e come sempre succede, giornalisti e cittadini ricordano o apprendono che la fondazione The Brass Group è in difficoltà, che basta giusto tirare un altro po’ la corda perché la sua musica cessi. Poi, purtroppo, i riflettori si abbassano, ma i problemi non cessano di esistere.
Un po’ di cronistoria: il 2 marzo 2016 è stata approvata la legge finanziaria regionale che abolisce la tabella H, azzerando i finanziamenti a una serie di enti di varia natura e salvando dai tagli un numero molto sparuto di strutture. Per tutti gli enti che non possono più usufruire dei finanziamenti dell’ex tabella H, si è prospettata la possibilità di accedere a bandi specificamente emessi dagli assessorati per un ammontare complessivo – sulla carta – di circa 13 milioni di euro.
Per il Brass Group, questo significa non potere più contare su 300 mila euro con i quali fare funzionare la scuola di jazz, l’orchestra, mantenere lo Spasimo e il Regio Teatro Santa Cecilia e mandare avanti un’organizzazione che conta cinquanta dipendenti.
Alla luce di un simile sfacelo, che rappresenta se portato alle estreme conseguenze la fine di un’esperienza durata quarantadue anni, unica nel suo genere, Ignazio Garsia si è trasferito con il suo pianoforte davanti a Palazzo dei Normanni e lì è rimasto, confortato dalla compagnia di amici e sostenitori. Meno da quella della politica, che però dopo quattro giorni gli ha finalmente dato risposta.
L’intervento del presidente della regione Rosario Crocetta, il 7 marzo, ha placato gli animi e fatto in modo che la protesta cessasse. E la promessa è stata la seguente: tempi brevissimi per la pubblicazione dei bandi destinati agli enti tagliati fuori dai finanziamenti dell’ex tabella H, anticipo di risorse agli enti che hanno ottenuto contributi regionali nel 2015 e non hanno subito impugnative (per il Brass, circa 300 mila euro, appunto). Ultimo, ma non meno importante impegno preso: alla prima occasione (assestamento o bilancio di previsione) provocare il dibattito in merito all’iscrizione del Brass Group nel novero degli enti strumentali della Regione (dove già si trovano, per esempio, il Teatro Stabile di Catania e l’Orchestra Sinfonica Siciliana).
Ed ora, agli inizi di giugno, a che punto siamo? È di qualche giorno fa la notizia che “il bando che doveva assegnare circa 13 milioni inciampa ai primi passi”. Il 20 maggio scorso il GdS ha titolato “Regione, decimati i fondi per enti e associazioni”. Nell’articolo, a firma di Giacinto Pipitone, si dice: «è stata la stessa giunta Crocetta a prendere atto del fatto che ci sono talmente pochi soldi che sarebbe preferibile attendere tempi migliori piuttosto che dividere briciole». A conti fatti, i 13 milioni di euro previsti sono solo 4.514.000, da spartire ai vari assessorati, i quali a loro volta li assegneranno in proporzione agli enti aventi diritto. Per il Brass si tratterebbe di poche migliaia di euro.
Nel frattempo, è atteso a breve il bando regionale relativo alle risorse del fondo unico per lo spettacolo, 4,6 milioni per il 2016. Bando al quale, al momento, il Brass non può accedere perché “usufruisce” già della ripartizione dei fondi della ex tabella H.
E mentre Ignazio Garsia annuncia di volere formalizzare la propria rinuncia agli emolumenti eventualmente derivanti dalla ripartizione dei fondi suddetti, per potere adire al finanziamento previsto dal FURS, e gli altri impegni rimangono inevasi – speriamo non per sempre – il Brass può contare su un pubblico che l’ha sempre sostenuto e sulla generosità dei musicisti siciliani e dell’Orchestra Jazz Siciliana, che da trent’anni ne costituisce l’anima. Artisti di altissimo livello che sono disposti a dividere gli incassi, destinandone una percentuale al Brass per le spese di gestione e organizzazione.
Tutto ciò somiglia molto ad una guerra, una lotta logorante che dura da anni (ci ricordiamo ancora del M° Garsia ricoverato in ospedale dopo sette giorni di sciopero della fame davanti al Santa Cecilia, nel gennaio 2004?). Nel ’73 Danilo Dolci, a proposito di un grande compositore siciliano, Eliodoro Sollima, parlava di «una terra i cui canti si spengono». Ebbene, è passato quasi mezzo secolo, e la Sicilia rimane una terra dove, per non far spegnere quel canto, bisogna volerlo fortissimamente.