Lo sciopero di Pomigliano, un flop che deve far riflettere dal “Corriere della Sera” del 21.09.16
Dico subito che non mi fa piacere che lo sciopero nazionale di un’ora indetto da Fiom-Fim-Uilm per protestare contro le morti bianche in fabbrica abbia fatto segnare a Pomigliano d’Arco un flop clamoroso raccogliendo solo il 2% di adesioni. La successiva guerra delle cifre che ha tentato di contrapporre i risultati di altri stabilimenti a quelli dell’impianto campano della Fca non serve a mitigare stupore e rammarico. Purtroppo in pochi giorni abbiamo dovuto annotare diversi infortuni mortali all’Ilva di Taranto, nel polo logistico di Piacenza e all’Atac di Roma, e giustamente i sindacati metalmeccanici hanno voluto suonare l’allarme per sensibilizzare autorità, imprese e opinione pubblica. Ma il dato di Pomigliano ci suggerisce che è arrivato il tempo di cambiare registro e non basta, come pure hanno sostenuto autocriticamente i sindacalisti locali, curare meglio l’informazione dei lavoratori ed evitare di spedire burocraticamente alle Rsu delle locandine da appendere in azienda. Lo sciopero costa e non può essere gestito come un rito nell’Italia del 2016, se si decide di chiamare gli operai a incrociare le braccia ci deve essere un obiettivo concreto, una richiesta elusa che però va sostenuta, un negoziato in corso con le controparti. Non è più tempo di considerare le tute blu delle «macchine per la lotta di classe», come ebbe a spiegare diversi anni fa il sociologo Aris Accornero, altrimenti si rischia di subirne i contraccolpi e di minare la più elementare solidarietà tra colleghi di lavoro. Oltre allo sciopero, indetto quasi a mo’ di riflesso condizionato, sindacati creativi e presenti nell’area mediatica come sono quelli metalmeccanici avevano 100 strumenti da attivare per far conoscere le proprie posizioni o anche solo, come in questo caso, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica. Ma evidentemente le vecchie abitudini sono difficili da rimuovere, il rinnovamento comincia sempre il giorno dopo.