il mistero del buffo

16 ottobre 2016 di: Susanna Prio

Per ricordare Dario Fo viene da scrivere un articolo tutto d’un fiato, di getto, con una frase dopo l’altra senza nessi sintattici o grammaticali, simile alle sue affabulazioni in cui il gesto, lo sguardo, la fisicità precedevano la parola, la sostenevano nell’aria come fosse una palla da lanciare al pubblico. Il roteare delle sue braccia, lunghe come le pale del mulino di don Chisciotte, non per trarre in inganno gli spettatori, ma per incantarli e in questa fascinazione farli riflettere.

Ma il suo corpo agile era diventato pesante, l’incedere un po’ lento, la voce aveva perso i toni alti, strozzati, le pause si erano fatte più lunghe per permettere di riprendere fiato ai suoi polmoni malati e di ricercare nella memoria le parole da dire. Invece i suoi occhi celesti no, non erano cambiati, continuava a brillare in essi sempre il guizzo malizioso e ammiccante di chi la sa lunga e non ha paura di dirla, anzi ha deciso di dirla a tutti i costi.

La sua vita “esageratamente fortunata”, come una volta l’aveva definita lui, in cui il rapporto con la donna della sua vita, Franca Rame, era stato fondamentale. Con lei aveva condiviso le lotte politiche, la censura, l’esilio dalla tv democristiana, le ritorsioni sia fisiche che verbali, i trionfi e l’attribuzione del Nobel, ma che aveva anche tradito. Nel corso della cerimonia della consegna del Nobel, il quale gli era stato attribuito: “perché, seguendo la tradizione dei giullari medievali, fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati”, aveva sottolineato il contributo decisivo di lei nell’organizzazione del loro lavoro, nella scrittura e nella realizzazione dei suoi testi e solo dopo la sua morte aveva dichiarato anche la maternità sotterranea di alcuni di essi.

L’esempio vivente dell’attore come super marionetta e non nel senso teorizzato da Gordon Craig, che vedeva l’interprete mero strumento nelle mani del regista, ma campeggiante sulla scena, solitario nella disarticolata fisicità e disarmante umanità che gli erano proprie, creatore e creatura nello stesso tempo.

Il mistero del buffo che si fa impegno di vita e va oltre la morte, perché non c’è niente di più effimero del lavoro di un attore teatrale, e niente di più duraturo nella nostra memoria della sua bravura.

3 commenti su questo articolo:

  1. Paola scrive:

    Toccante ricordo di Dario Fo e del suo rapporto con Franca Rame, che mette in discussione il detto che dietro un grande uomo c’è una grande donna. Lei gli stava al fianco se non davanti.

  2. nives scrive:

    Particolare questo ricordo di Dario Fo in cui si parla quasi più di Franca Rame che di lui. Forse perché, anche se la morte li ha divisi, hanno condiviso fino alla fine l’arte, la bravura e l’impegno.

  3. Floriana scrive:

    Bella la foto in cui sono ritratti abbracciati: il sorriso di Franca e gli occhi furbetti di Dario. Arte, impegno e amore.

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