L’eccesso di melassa per vendere i libri dal “Corriere della Sera” del 30.01.17
È un abuso che dilaga nel marketing editoriale degli ultimi tempi. Sui banchi delle librerie italiane non esiste romanzo straniero che non esibisca l’elogio, vago quanto incondizionato, di un prestigioso foglio americano o inglese. L’esordio di Atticus Lish viene salutato da Rizzoli con un capolavoro di tautologia iperbolica tratto dal Financial Times: «Un trionfo di ogni eroico aggettivo che la stampa gli dedicherà» (sic), cui si aggiungono la «straordinaria potenza» e l’«intensità bruciante» garantite dal Sunday Times. Per Purity di Franzen, Einaudi scomoda i superlativi del New York Times: «il romanzo più agile, intimo e sicuro». E per Espiazione di Ian McEwan, un’insolita intuizione dell’Observer: «Un romanzo meraviglioso». Chissà che idea hanno del loro pubblico le case editrici italiane se credono davvero che invocare una testata a caso, purché anglofona, e puntare sulla pungente spassosità, sulla sicura agilità, sull’umorismo aspro, sulla dolcezza cioccolatosa, sulla rinfrescante tenerezza, sulla miracolosa freschezza, sulla bruciante intensità di un libro sia una chiave promozionale irresistibile. Non si chiedono se tanta indistinta (ed eroica) melassa aggettivale rovesciata sul lettore non provochi piuttosto una sana repulsione?