tra cinema e realtà, la storia di Gabriella
Probabilmente pochi conoscevano la storia di Gabriella Sciacca finché i mezzi di informazione non si sono occupati di lei, nonostante che in questo periodo tutta l’attenzione mediatica sia concentrata sullo stato di emergenza in cui versa l’Italia, messa a dura prova da condizioni meteo implacabili ed il protrarsi di scosse nelle regioni del centro.
Si tratta di una vicenda umana che per undici mesi ha avuto come palcoscenico l’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo, come inconsapevoli spettatori i molti viaggiatori che si sono avvicendati nello scalo siciliano e come protagonista una signora di 57 anni che in seguito alla separazione dal marito, e non riuscendo più a vivere con il misero assegno di mantenimento, si era adattata a vivere proprio all’interno del terminal della sua città. Una scelta ragionata perché, a suo dire, nonostante che aeroporti e stazioni ferroviarie siano oggi considerati luoghi potenzialmente a rischio, lì si sentiva al sicuro proprio perché presidiato da forze dell’ordine. Gabriella ha dimostrato in questo ed in altri particolari che caratterizzano la sua vicenda, reale per quanto al limite dell’assurdo, di essere una donna lucidamente organizzata e determinata nel voler conservare il suo decoro nonostante la situazione di estrema precarietà.
In mancanza di risposte e trovandosi sola, forse non a caso ha scelto di vivere proprio in quello che, secondo la definizione di Marc Augè, rappresenta un nonluogo e come tale si pone di fatto in antitesi ed agli antipodi di ciò che comunemente si può considerare una dimora. Anche in questo senso quindi non casuale, ma implicitamente chiara come denuncia, la sua scelta: «gli aeroporti, le stazioni, le aree di sosta lungo le autostrade, i grandi centri commerciali sono nonluoghi incentrati solamente sul presente ed altamente rappresentativi della nostra epoca caratterizzata dalla precarietà assoluta, dalla provvisorietà, dal transito, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi, ma non li abitano».
Eppure Gabriella, espressione concreta di questa precarietà e solitudine, ha trovato il coraggio di fare proprio ed abitare proprio un luogo del genere che nel prefisso non è già in contraddizione con la sua stessa definizione di appartenenza.
Non residente, non viaggiatrice, non appartenete al personale di terra o di volo…quanti altri rischiano oggi di perdere e non sapere più con certezza quale sia la propria identità riconosciuta a livello sociale.
La storia di Gabriella Sciacca richiama quasi automaticamente il film di Spielberg The Terminal, ispirato alla vera storia del rifugiato iraniano Mehran Karimi Nasseri che visse per 18 anni, dal 1988 al 2006, all’interno dell’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi. Ed anche Hugo Cabret, film di Martin Scorsese. In questa vicenda dalle tante sfaccettature forse anche ciò non è un caso: non si può escludere infatti che la signora abbia visto entrambi i film e ne abbia tratto con ingegno ispirazione.
Al termine però una cosa è certa: sono dovuti passare lunghi undici mesi, ma finalmente Gabriella è ospite presso una struttura della cooperativa Libera-Mente. “Tana libera tutti” si diceva in un gioco infantile, Gabriella non è più costretta a giocare a nascondino, invisibile nella massa di chi parte o arriva, lei sola che restava.
bella storia, Silvia, che testimonia la stretta relazione tra cinema e vita reale
Leggo questa storia e penso alle azioni che svolgo quotidianamente. Mi alzo dal mio comodo e caldo letto, vado in bagno, mi lavo, mi cambio, preparo una calda e confortevole colazione, vado a lavorare, mi organizzo per il pranzo, mi riposo, svolgo le faccende domestiche e il lavoro che mi sono portata a casa, preparo la cena, vedo la televisione, leggo un libro, ceno, vado a dormire. Penso a Gabriella che per undici mesi non ha fatto niente di tutto ciò e mi sento una privilegiata nella mia normalità abitudinaria….