triste quel paese in cui chiudono giornali
Questa lettera è stata inviata da Cinzia Scaffidi a Sergio Staino, direttore de L’Unità le cui sorti sono appese ad un filo. La probabile chiusura della storica voce della sinistra, che si dibatte da tempo tra crisi finanziarie e dovere di esserci, e perdippiù con la passione che ci ha messo il vecchio compagno Staino nel rilanciare la testata, sarà un duro colpo per la credibilità di un Pd in crisi di identità e lo sarà per la pluralità dell’informazione su cui, con altrettanta passione, riflette l’autrice dell’editoriale che uscirà domani e che abbiamo libertà di anticipare.
Caro Sergio
penso tante cose in questi giorni.
Arrivano sollecitazioni di ogni tipo, tutti sembrano parlare da soli, dicendo quel che prima gli passa per la testa, ad ogni livello e in qualunque situazione. La metodologia “social”, che tanto ci scandalizza, e che fa sì che si straparli di qualunque argomento, compreso il commentare a sproposito articoli non letti (con la premessa, come se fosse una nota di metodo: “ho letto solo il titolo e mi è bastato”), sembra aver contaminato anche le decisioni dei governi. Il primo che arriva fa come gli sembra più opportuno, eleggendo se stesso e i suoi ragionamenti ad unico termine del confronto. E allora via, la Russia ritiene che picchiare le donne non sia reato, se ciò avviene all’interno della famiglia; gli Usa deliberano alzate di muri con relativo sberleffo economico-doganale ai danni di chi resterà “fuori”; il Congo non riesce ad avere nuove elezioni perché il suo presidente, che ha già fatto i due mandati consentiti dalla legge ha deciso di infischiarsene della legge e tenersi il potere con le armi; l’Italia vota in Europa a favore degli OGM (in contrasto con quanto detto e fatto finora, e in contrasto con la volontà più volte e in più occasioni espressa dai cittadini) e mette una deroga nazionale sull’uso del Glifosato (in contrasto con quanto richiesto dall’Unione Europea)…
Siamo così convinti che gli altri, tutti gli altri, indifferentemente, siano sostanzialmente dei pirla che il funzionario di una prefettura ha pensato che qualcuno, durante un terremoto e in una zona in cui ogni anno vengono giù metri di neve, potesse aver voglia di scherzare parlando di una valanga che si era portata via un intero hotel. Non ascoltiamo più. Se fossimo capaci di ascoltare, quella voce gentile, spaventata e insistente che diceva “andate con un elicottero, andate a controllare per carità” sarebbe stata presa sul serio, perché si sentiva vibrare la paura e al contempo il rispetto verso la persona con cui stava parlando: non voleva dirgli come fare il suo lavoro, cercava di restare gentile, ma il panico era lì, bastava ascoltarlo.
Tutto passa sulla testa di cittadini, consumatori, donne e uomini che non hanno che un mezzo per difendere e proteggere quel delicato meccanismo dell’esercizio della democrazia che – per quanto imperfetto – è il migliore che abbiamo finora inventato. Quel mezzo è l’informazione, quella vera, seria, indipendente, studiosa e prudente. Quella che dovrebbe far capire ai cittadini se la delega che hanno affidato ai loro rappresentanti è stata usata bene o no. Da lì riparte il ciclo democratico, grazie ad una informazione libera e competente posso capire se ho fatto bene a votare come ho fatto, o se invece è meglio che cambi idea, o che mi attivi per contrastare chi governa.
Mancano quattro giorni, diceva stamattina l’Unità. Quattro giorni a una riunione che deciderà i destini di tante persone, ma che soprattutto potrebbe portare alla sottrazione di un ulteriore difesa dei meccanismi democratici, come giustamente dice Cuperlo. Non lasciamoglielo fare. Non so, tecnicamente, come si possa fare, ma se proprio non esiste in Italia un imprenditore che voglia rendersi partecipe della tutela e del miglioramento del tasso di democrazia di questo paese (ma la proprietà privata, nella nostra costituzione, non deve avere fini di miglioramento sociale?), se proprio non esiste un partito che abbia a cuore la cultura e l’informazione dei cittadini (che pure lo hanno mandato al governo), allora cerchiamo di trovare un’alternativa. Perché è inutile ricordare gli orrori che si sono consumati in Europa negli anni 40, se ci priviamo dei mezzi per far sapere a tutti quali e quanti piccoli o grandi orrori si stanno consumando oggi, in tutto il mondo, o vengono quotidianamente preparati. E per far conoscere le belle storie di lotta, di riscatto e di solidarietà, che sono quelle che ci consentono di dire che un qualche senso ce l’ha, stare a questo mondo.
Apriamolo il giornale, altro che chiuderlo.
Ti abbraccio
Cinzia