è scattata l’ora legale
Chissà se era nei programmi, che gli spettatori uscissero depressi dalla visone del loro ultimo film L’ora legale nelle sale in questi giorni, ma questa volta la consolidata coppia dei seguitissimi Ficarra (Salvo) e Picone (Valentino) lancia una freccia avvelenata nel mucchio dei ridanciani che mai li vorrebbe comici che castigat ridendo mores. Visto ieri, conoscevo l’argomento e letto commenti sul finale “senza speranza”, che ho confermato. Sono uscita sconsolata.
Il plot è questo: la bella e sfregiata Pietrammare, governata da un sindaco senza scrupoli – epigono dello spregevole Cetto Laqualunque di Albanese sul quale abbiamo già consumato la nostra sprezzante ironia – stanca degli aspetti più appariscenti della disinvolta gestione del “Patané da votare senza chiederti perché” alle imminenti elezioni, che sono le buche sulle carreggiate, i cumuli di immondizia per strada, le cacche dei cani sui marciapiedi, il traffico caotico e cose così, si compatta per voltare pagina e, approfittando di un temporaneo “fermo giudiziario” del suddetto, vota per il cambiamento rappresentato dal giovane professore Natale, di specchiate onestà e irreprensibilità.
Salvo a pentirsene subito dopo, non appena l’onesto professore inizia a mettere in pratica i punti salienti del suo programma elettorale, scatenando vigili pelandroni a multare gli indisciplinati, spedendo a pulire boschi le truppe di forestali imboscati, imponendo la raccolta differenziata e la raccolta delle deiezioni canine, ingentilendo la città di fiori e piste ciclabili. Provvedimenti frastornanti ma infine accettabili, finché non si mette in testa, il pover’uomo troppo onesto, di abbattere case abusive e non concedere raccomandazioni e favori di alcun genere, neppure alla Chiesa da cui pretende il pagamento della tassa per l’esercizio del B&B per i “poveri pellegrini”, e all’Arma a cui non perdona infrazioni stradali e il “malo esempio” che ne consegue. Troppo, per una comunità coccolata dall’allegro andazzo di chi accontenta per avere mano libera dove più gli serve, quindi scatta la rivolta.
Capeggiata dal parrino insolvente e per ciò solidale con i parrocchiani, l’insurrezione si compie in una piazza colma e fremente di sdegno per le eccessive rinunce cui costringe il “fanatico” impositore di regole, costretto ad umilianti dimissioni perfino dai propri familiari – i cognati Ficarra e Picone che costruiscono prove false per coglierlo in fallo – nonostante si affanni a dimostrare come la città sia diventata più bella e vivibile e che l’onestà non è una dote, ma un percorso da compiere insieme anche correggendo i propri errori. Rimesso in sella il laido Patané, con soddisfazione di tutti torna tutto come prima. Parabola significa che l’onestà non paga, anzi è proprio perdente e lo dicono i Ficarra Picone voltagabbana: «in questo paese non ha mai funzionato niente» «… e ci siamo sempre trovati bene».
Dove non funziona niente vince il furbo, il traffichino, il raccomandato, il detentore di potere, e non è questione di nord o sud, è questione sociale, antropologica forse. Vi avevo avvertito, L’ora legale mi ha creato panico, ma in senso diverso dal satirico Cuore che in epoca craxiana titolò «È scattata l’ora legale. Panico tra i socialisti».
Ho visto “L’ora legale” la scorsa settimana al cinema e debbo dire di aver avuto la stessa sensazione appena lasciata la sala, tra tutti i loro film che ho visto questo è stato quello che meno mi ha fatto ridere. Infatti, dopo la visione della pellicola non si può fare a meno di pensare che, a parlare si è bravi tutti, che si è bravi a dire che bisogna sistemare le cose, che deve venire qualcuno, arrivare qualcuno, salire al potere qualcuno che abbia la capacità di cambiare le cose, ma siamo proprio sicuri che questo qualcuno non lo vediamo ogni giorno allo specchio la mattina? Che il cambiamento non venga da noi, da ognuno di noi?