rispettare la speranza

6 maggio 2017 di: Giovanna Sciacca

Onda su onda, incessante e perpetuo, il flusso degli sbarchi clandestini continua a riversasi sulle coste dei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo.

Uomini, donne, bambini, un carico di carne e disperazione scagliato fuori dai paesi di provenienza dalla molla della speranza di riuscire ad approdare in una terra di opportunità, finalmente liberi dall’incubo della miseria e delle guerre.

Il miraggio di migliori condizioni vita, di un lavoro che consenta la condivisione dei benefici della ritenuta società del benessere, alimenta tenacemente la determinazione di operare il taglio netto, se pur doloroso, con le proprie radici.

Una scelta dal costo elevatissimo non solo in termini economici – la somma che ciascuno dovrà esborsare per comprare il proprio calvario è alquanto esosa per quelle misere risorse – ma soprattutto di umiliazioni, stenti e, in tantissimi casi, della vita stessa.

Un rocambolesco percorso, in condizioni estreme, attraverso terre desolate e ostili, guidati da uomini senza scrupoli e spesso tra l’indifferenza se non con la connivenza delle autorità locali, fino agli imbarchi. Da qui si ritroveranno in balia di altri uomini altrettanto cinici e più voraci degli squali che, sulla scia della traversata dei barconi sgangherati e dei precari gommoni stracarichi di umanità disperata, si contenderanno molti di quei corpi conditi di sogni naufragati miseramente. Nei poveri bagagli pochi effetti personali, poco cibo, poca acqua e tanta speranza di lasciarsi alle spalle per sempre il passato.

Spaventoso e in costante aumento il numero di quelli che, disidratati e sopraffatti dagli stenti, non ce la fanno. Rimarranno per sempre ad un passo dalla porta di quel miraggio di paradiso, in quel corridoio di mare, liquido cimitero in cui i corpi si dissolvono senza più nome né patria.

C’è da chiedersi: fino a che punto questa gente è consapevole dei rischi che correrà, di quante probabilità di farcela ha comprato ad un prezzo tanto alto, ma soprattutto del crudo impatto con la dura realtà dei “muri” della diffidenza e dell’ostilità del Continente europeo.

Inevitabilmente, come un film d’epoca, si sovrappongo sbiadite le immagini in bianco e nero dei nostri connazionali che, all’inizio del secolo scorso, hanno alimentato altri biblici flussi migratori, anche allora veri e propri travasi di umanità povera e intraprendente, dal meridione verso il nord dell’Italia, verso il nord Europa e, ancor più, verso il nuovo continente oltreoceano.

Anche quegli uomini affrontarono sacrifici e stenti, ostilità e discriminazioni, andando incontro alle incognite di paesi e culture diverse, tra genti dalle lingue incomprensibili, con bagagli esigui e grandi speranze di futuro migliore.

Anche allora, purtroppo, alcuni di loro deviarono dai buoni propositi e andarono ad ingrossare le file della malavita, ma i più riusciono con tenacia a cogliere le opportunità offerte dai paesi ospitanti, tanto da divenire parte integrante di quelle società e, non di rado, arrivare a ricoprire posizioni di grande prestigio sia in campo economico che politico e sociale.

Invertiti i ruoli, nei panni di paese ospitante, oggi tocca a noi la responsabilità dell’accoglienza nei confronti di questa fetta di umanità che, come allora, al di là delle differenze razziali e culturali, porta i segni della medesima insopprimibile aspirazione umana: il diritto alla speranza che merita rispetto sotto ogni latitudine.

In memoria i quanto abbiamo cercato nei paesi che allora ci hanno accolto, tocca a noi adesso, dimostrare rispetto per i nuovi migranti e per il valore legittimo e universale delle loro aspirazioni alla pace e al benessere per se stessi e per i propri figli.

Deposta l’atavica alterigia dell’europocentristica presunzione di superiorità culturale, occorrerà recuperare la capacità di rendersi realmente disponibili alla comprensione delle culture “altre”, così diverse dalla nostra, ma non meno cariche di secoli di storia e di fascino.

Sterili e crudeli, dunque, gli atteggiamenti di sprezzo e diffidenza verso questa fetta di umanità, vista solitamente come un’orda di nuovi barbari venuti a sottrarci spazi e lavoro, anziché come una opportunità di scambio dialettico con altre culture e fonte di reciproco arricchimento.

Ottusi i preconcetti razziali e culturali che hanno da sempre ostacolato la reciproca comprensione e, in ultima analisi, la pacifica soluzione dei problemi che affliggono l’umanità fondate, invece, sulla disponibilità alla comprensione, intesa anche come conoscenza e dinamicità culturale.

Offrire un’opportunità di reale integrazione agli immigrati, in quest’ottica si rivela per ciò che in realtà è: una intelligente opportunità di crescita anche per tutti, un passo in avanti nel cammino dell’umanità per dire ancora una volta no alle guerre e si alla convivenza e conoscenza reciproca.

Affinché il doloroso fenomeno degli sbarchi clandestini possa evolversi in questa auspicabile direzione occorre, dunque, il coraggio di accettare l’avvio di una vera e propria rivoluzione culturale.

Al di là del mero assistenzialismo, solo un grande impegno sociale e politico potrà consentire di salvare tante vite umane dai naufragi e dalla deriva di una vita senza speranza.

 

 

 

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