la scuola e la fragilità degli adolescenti
In questo periodo dell’anno scolastico gli insegnanti della scuola di ogni ordine e grado sono chiamati a valutare i propri alunni: difficile occuparsi solo dell’andamento didattico–disciplinare da riportare sulle schede di valutazione, soprattutto se si ha a che fare con gli adolescenti. Ansia e depressione sembrano caratterizzare la maggior parte dei nostri ragazzi, emerge infatti dalle osservazioni condivise in sede di consiglio di classe, la difficoltà che incontrano nel costruire relazioni serene sia con i coetanei che con gli adulti di riferimento (genitori, insegnanti). Chi ha confidenza con i social sa che gli adolescenti hanno centinaia di amici e contatti su Facebook, su WhatsApp, Instagram… ma non hanno sviluppato le competenze per relazionarsi con gli altri in modo naturale e non virtuale.
Appaiono sicuri, disinvolti e consapevoli di fronte ad uno schermo ma fragili e disorientati nella relazione a tu per tu. Nascondono dietro le apparenze la propria fragilità. Come affrontare questo problema? Riconoscendoci adulti fragili per comprendere la fragilità dei nostri alunni, ricordandoci come eravamo anche noi alla loro età. Dobbiamo entrare in relazione con la fragilità dei nostri ragazzi per provare a capirla facendo sentire loro che sono importanti mostrando, tuttavia, sicurezza e consapevolezza, per non essere percepiti deboli e non affidabili, fallibili e imperfetti. È fondamentale trovare il tempo di dialogare con i nostri alunni: sono figli dei due genitori, ma, inevitabilmente, lo sono anche della comunità in cui interagiscono quotidianamente, dell’ambiente scolastico di riferimento nel quale passano circa duecento giorni nel corso dell’anno, sviluppando un certo senso di appartenenza.
Spesso quello che non ci piace degli adolescenti, ciò che condanniamo e giudichiamo negativamente, è l’atteggiamento di sfida, spesso fortemente oppositivo, volutamente trasgressivo, che però rientra nella normalità se si considera che l’adolescenza è un periodo di esplorazione del mondo degli adulti che si sta profilando all’orizzonte, ma che può, in certi casi, esprimere un reale malessere o un serio disagio. I nostri alunni adolescenti hanno raggiunto la maturità biologica ma non la maturità sociale eppure nel digitale si incontrano, studiano, lavorano, parlano, giocano, soddisfano il proprio bisogno di attenzione e di gratificazione, creando una realtà alternativa in cui si rifugiano. Dobbiamo rispondere con maggiore empatia al loro modo di sentire e provare emozioni, creando occasioni di dialogo e di incontro, soddisfare il loro bisogno di attenzione e di gratificazione in un mondo reale, quello della vita di tutti i giorni che non è quello della realtà alternativa in cui si rifugiano.
EH SI,assolutamente non facile entrare in contatto con il loro mondo, soprattutto perché, presi da tanta frenesia, noi adulti abbiamo dimenticato o rimosso il nostro vivere adolescenziale…
A volte mi faccio ascoltare dai miei ragazzi perché cerco di “incuriosirli” raccontando i miei aneddoti e il mio vissuto quando avevo la loro età. Loro mi guardano incuriositi e a tratti divertiti, forse perché capiscono che anch’io ho attraversato gli stessi momenti “in e out” e lì, quando incrocio i loro sguardi, mi rendo conto che qualcosa è stato recepito, che ho creato quel feeling, quell’empatia che è essenziale per poter instaurare un rapporto “vero”, di fiducia.
Essere “passeur”, veicolatori della cultura, alla maniera di Pennac, non è una vera e propria professione. In ambito culturale il vero passeur è la sfera affettiva. Il flusso della cultura scorre allora grazie al flusso della sfera affettiva, come dice il grande Pennac e ancora : ” Anche uno sguardo può servire a creare una relazione personale con ogni studente, può essere il pretesto per un breve momento di complicità. Sembra una cosa da nulla, ma dà il tono a tutta la giornata, è il diapason che dà il la all’orchestra”.
Ecco, io credo che il dialogo primario e fondamentale sia quello affettivo, il resto viene da sè.
Nel 1931 lo scrittore Paul Nizan iniziava così il suo romanzo “Aden Arabie”: “Avevo vent’anni, non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”. Quello, che egli affermava allora, è vero anche adesso e non solo per i giovani di vent’anni, ma anche e soprattutto per gli adolescenti di cui si parla nell’articolo di Magdalena Marini. Sono forse cambiate le forme e gli strumenti di sofferenza, ma il faticoso lavoro di crescere è sempre doloroso e frustrante e la scuola è sicuramente un luogo dove i problemi si evidenziano e gli adulti che vi lavorano hanno l’arduo compito di ricordarsi gli adolescenti che sono stati.
Dobbiamo invece controllare la nostra fragilità, mostrando il lato più forte di noi e non sostituirci alle figure genitoriali: bisogna essere insegnanti e non genitori per evitare la confusione dei ruoli. Comunque consiglio vivamente ai miei colleghi insegnanti di fare un sano corso di meditazione che possa aiutare nei momenti difficili.