la ricerca della Bellezza in Architettura
Quando venne ad insegnare alla Facoltà di Architettura di Palermo, alla fine dei settanta del secolo scorso, era un affermato architetto destinato a grandi cose, che si faceva strada anche in campo accademico raccogliendo quei consensi che lo porteranno ad assumere il ruolo di Maestro dell’Architettura nel panorama culturale internazionale. Adesso, all’alba dei 90 anni, Vittorio Gregotti chiude lo studio milanese perché, dice, l’architettura non interessa più a nessuno.
Ed è uno strano paradosso: mentre le cronache social-mondane pullulano di archistar che volano da un punto all’altro del pianeta per depositare un po’ dovunque i frutti del proprio genio, e nei diversi continenti le città affastellano mirabilia architettoniche buone per tutte le stagioni – omologandosi al modello città-verticale di grattacieli anche sbilenchi e fallici – Gregotti archistar lamenta la morte dell’Architettura. E si capisce: qui si dà per defunta l’architettura “di servizio”, quella che “serviva il popolo” dandogli dopo la guerra case dignitose e perfino belle, ancorché stringate di spazi e rifiniture, perché gli architetti chiamati a ricostruire le città distrutte e poi a pianificarne le espansioni, il “segno” che intendevano lasciare puntava al benessere degli abitanti piuttosto che all’affermazione del proprio ego creativo.
In Germania, in Olanda, in Francia, i quartieri popolari di Bruno Taut, di J.J.Pieter Oud, di Charles Perret, per dire di una modernità preistorica ancora ammantata di utopia, rivendicavano l’esercizio di un “lavoro infaticabile e audace al servizio della bellezza, della subordinazione a ciò che c’è di più elevato”. E cosa c’è di più elevato della Bellezza, anticamera della Felicità a cui aspirare per scongiurare guerre e/o dittature devastanti, o per ripararne i danni?
Gregotti ha lasciato a Palermo, fra gli altri, il “segno” del quartiere popolare Zen 2, famigerato più per gli esiti di una realizzazione “al risparmio” quindi monca dei servizi essenziali piuttosto che per la qualità dell’intervento, che possiede indubbie ma misconosciute valenze architettonico-spaziali.
Ma questa è un’altra storia, difficile da spiegare in poche righe. Quel che voglio dire è che il Maestro Vittorio Gregotti, a cui auguro un sereno ritiro dalla vita attiva, la sua ricerca della Bellezza e soprattutto del Servizio dell’Architettura, l’ha praticata con impegno.
(nelle foto: prospettiva del quartiere Zen, ritratto di V.Gregotti di Tullio Pericoli, casa di P.Oud, quartiere di B. Taut)
Articolo bello e non solo anche di cultura pratica