le vite degli altri
Qualche anno fa ho visto un bel film tedesco intitolato “Le vite degli altri” del regista Florian Henckel von Donnersmarck. Narrava la vicenda di un agente della Stasi, che attraverso sofisticate apparecchiature riusciva a spiare la vita di alcune persone ritenute pericolose dal governo della Germania Est.
Mi è venuto in mente questo film perché descrive quello che mi capita quotidianamente, quando prendo l’autobus o la metropolitana, ma senza l’ausilio di apparecchiature sofisticate, perché bastano le mie orecchie e da parte degli altri uno strumento molto comune: il cellulare.
Mi accade così di entrare nella vita degli altri senza volerlo, talvolta con un certo fastidio, altre volte con un’empatia automatica, spesso cercando di capire meccanismi appena accennati.
L’universo sonoro in cui mi trovo ad essere immersa è dei più vari e non si tratta più di maleducazione e poco rispetto, è forse il nuovo modo di comunicare, individualmente e contemporaneamente in maniera collettiva, i propri sentimenti, sensazioni, delusioni, tristezze, preoccupazioni, gioie, supponendo e forse desiderando che gli altri stiano ascoltando. E così sento parlare di un tipo, capace di placare contrasti all’interno di un ufficio, della preoccupazione di una madre che per andare a lavorare ha dovuto lasciare suo figlio alle cure di un compagno o marito sempre ubriaco e ancora addormentato, delle precise istruzioni per la ristrutturazione di una casa che un’altra dà ad un operaio, contrattando i prezzi delle serrande e la rabbia repressa di un giovane uomo, a cui è stato preferito un altro per un lavoro. C’è poi chi parla di un libro o di uno spettacolo, che è stato particolarmente interessante e che consiglia, chi ride per le battute spiritose che non conoscerò mai, chi dichiara posizioni logistiche bugiarde per scusare un ritardo.
Mi è capitato di assistere al pianto dirotto di una donna dopo aver letto un messaggio sul display del suo cellulare, ai suoi tentativi di asciugare le lacrime per rispondere al messaggio, alla sua incapacità di fermare l’emozione o il dolore, circondata dall’indifferenza o dall’impotenza degli altri. C’è anche chi tiene moltissimo a far conoscere ad un pubblico sconosciuto le proprie imprese amorose, lavorative, vacanziere e si ha la sensazione che l’interlocutore non sia più quello o quella dentro il dispositivo ma gli ascoltatori involontari. In alcuni passaggi alcuni abbassano la voce, ma non riescono a tenerla per troppo tempo, risale, risale inesorabilmente fino quasi a sfiatarli.
Quando le telefonate terminano ed il sacco è stato svuotato, il parlatore o la parlatrice sembrano afflosciarsi, si guardano in giro silenziosi e un po’ persi con il cellulare ancora stretto nella mano e nel loro orizzonte entrano gli altri e anch’io mentre prendo appunti su di loro. Non immaginano lontanamente di essere diventati probabilnente il materiale per un articolo, un racconto, un testo teatrale, ma si sono esibiti e questo gli basta.
Non so…questo cellulare ci ha disumanizzati. Non esiste più intimità, non si è più in due, si è sempre in tanti. Clara coglie l’aspetto spettacolare di questa forma di esibizionismo, io la subisco. Non mi interessa sentire i fatti degli altri, non voglio essere resa partecipe di fatti che non mi riguardano. Mi sembra una forma di imposizione non richiesta.
E’ come se fossimo circondati, costretti, imprigionati, in balia degli altri. E’ una sensazione bruttissima che mi fa desiderare la solitudine. Ma forse anche in questa situazione c’è qualche aspetto positivo, però io non l’ho ancora trovato!
Per Aristotele l’uomo è un animale sociale che tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. Per Darwin nella lotta per la sopravvivenza ciascun animale sente il bisogno di stare vicino ai propri simili per dare e ottenere aiuto e difesa, definendo questo sentimento simpatia per gli altri animali della propria specie.. Qualche studioso moderno dovrebbe spiegare il bisogno di stare in mezzo agli altri facendo i c…. propri e fregandosene altamente dell’altrui esistenza se non finalizzata a non sentirsi soli.
comunque questo palcoscenico sociale, per chi scrive di teatro e non solo, è una manna.
Dopo aver letto l’articolo di Clara Margani, ieri quando sono andata al lavoro in autobus ho fatto maggiore attenzione alle persone che parlano al cellulare e ne ho ricevuto una sensazione di grande solitudine e forse di desiderio di comunicare in qualche modo con qualcuno. Il fastidio che provavo nei loro confronti si è trasformato in parte in comprensione.