L’amaca del 3 agosto 2017 da “Repubblica.it” di Michele Serra
A proposito dei maschi che uccidono la donna amata (?) perché non sanno accettare “la frustrazione della perdita” (vedi quanto scritto ieri da Michela Marzano), viene da domandarsi, per esteso, quali perdite, quali sconfitte, quali limitazioni della felicità, quali decurtazioni delle aspettative è disposto ad accettare, non solamente sul piano sessuale o affettivo, ognuno di questi bambocci assassini; e non solamente loro. In una società tendenzialmente no-limits trovarsi di fronte al limite, per giunta il proprio limite, rende pazzi.
In questo senso la fragilità dei giovani maschi – la loro enorme difficoltà a padroneggiare la sconfitta e il rifiuto, e da lì ripartire più calibrati e più saggi – sembra il paradigma della fragilità di una società intera. Negli Usa l’ossessione (ridicola) del winner e del loser, il vincente e il perdente, come sole parti in commedia, non sembra avere generato benessere mentale: il consumo di psicofarmaci, laggiù, è semplicemente abnorme. Per correre ai ripari bisognerebbe organizzare, oltre a quelli benemeriti di danza, ikebana, cucina e affini, dei corsi di sconfitta. Forse già esistono. Le femmine, comunque, come docenti paiono meglio attrezzate. I millenni le hanno rese più resilienti, più avvezze alla sconfitta e dunque, vedi il paradosso, alla lunga più vincenti dei maschi.