Università, la selezione dei professori tra combine e voto di scambio da “La Stampa” del 26.09.17 di Manlio Lilli
…L’Università ha le sue regole. L’autonomia di pensiero non paga. L’ambizione di farcela con le proprie forze, solo contando sulla corposità del curriculum, destinata a collassare.
Nell’eterno dibattito sui mali dell’Università sono in molti a sostenere che la colpa sia degli esigui fondi a disposizione. Con un budget meno striminzito non solo la ricerca ne beneficerebbe, ma anche la struttura. Confesso che continuo ad avere difficoltà nel comprendere che relazione possa esserci tra fondi a disposizione e reclutamento dei professori, ma forse non è poi così importante. Quello che invece non può dirsi trascurabile è che il sistema si segnali così frequentemente per “arrangiamenti”, “combine”. Operazioni di compravendita degne del calciomercato piuttosto che di luoghi nei quali si dovrebbero formare professionisti, selezionare ricercatori.
L’Università non ha bisogno di più soldi, ma di legalità. Di regole certe. Di competenza e di capacità, ma nella ricerca, non nell’intessere relazioni personali. Finché i concorsi si decideranno negli studi di Dipartimento, finché la scelta dei candidati avverrà in nome di spartizioni corporitivistiche, l’Università rimarrà un luogo di disuguaglianze. Di soprusi legalizzati. Un luogo per troppi respingente.
Ad aprile 2016 al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, Matteo Renzi da premier, affrontando il tema dei cervelli in fuga, parlava di una “retorica trita e ritrita” dalla quale “è importante uscire”. A contraddirlo i numeri, come spesso accade. Anche per questo, da uno scandalo all’altro, l’Università naufraga.