il Leone cinese, Tan Dun e la musica organica

4 ottobre 2017 di: Grazia Fallucchi

La notizia è di pochi giorni fa: in Cina  ogni trent’anni il Monte Gandeng “depone” misteriose pietre, lisce e tonde come uova, scolpite da pioggia e vento: emergono dalla roccia calcarea di un lato della montagna e secondo gli abitanti del villaggio vicino sono  dotate di poteri straordinari. La concezione animistica che vede negli oggetti della natura lo spirito del mondo è  sempre presente in Cina e il compositore Tan Dun di quella cultura si fa portavoce, ne fa anzi il suo punto di forza, alla base di una ricerca non solo musicale ma anche di vita. Non a caso chiama la sua musica organica, perché agli strumenti occidentale e a quelli tradizionali cinesi sin dal 1980 ha unito nelle sue composizioni acqua, pietre, carta, ceramica, metallo, vento persino, ma anche  il meglio delle nuove tecnologie.

Le sue composizioni possono a volte essere populistiche, a volte radicali e sperimentali, spesso entrambe le cose: sono format artistici molto personali e apparentemente contraddittori,  probabilmente il risultato della sua esperienza personale, di una vita che si può definire avventuruosa: dal villaggio dello Hunan dove è nato, alla  adolescenza nei campi di riso di una comune durante la rivoluzione culturale maoista, a flautista per le truppe cinesi, sino al conservatorio di Pechino dove  entra in contatto con la musica occidentale. E infine l’arrivo sulla scena della avanguardia newyorkese e il suo incontro con John Cage. «La mia vita è un’opera» dichiara, e probabilmente qualche ragione ce l’ha.  Il   30 settembre è stata la giornata del Leone, iniziata la mattina con un incontro con il pubblico e chiusa con la consegna del premio alla carriera e con il concerto serale al Teatro alle Tese, da lui diretto.

In bilico tra Oriente e Occidente, Tan Dun mescola il vecchio e il nuovo, contamina anzi, meglio, coniuga, come ha detto il presidente di Biennale Paolo Baratta nel presentarlo. Certo vuole superare confini e limiti stilistici e culturali che sente come una imposizione, rischiando l’effetto e la superficialità. Ma è sinceramente convinto delle sue teorie, delle quali si fa portavoce con maestria, consapevole di essere ormai un personaggio e dunque attentissimo alla immagine che ha creato di sé.  Ha un sito molto bello (tandun.com) dove è possibile  seguirne la carriera, le teorie e i progetti. Poliedrico e prolifico, ma certamente affabulatore questo leone d’oro. Tanto da stregare alcune classi di seconda media, realmente partecipi e coinvolte come raramente succede nell’incontro con il pubblico la mattina del 30 settembre, ragazzini che si sono stretti  intorno a lui in un modo spontaneo e caloroso. In Sala delle colonne il compositore cinese affascina  e diverte non solo loro ma anche il pubblico. Due ore circa di conversazione tra il saggista Andrea Penna e Tan Dun  che si chiude con le domande dei ragazzi. Domande semplici  – a quanti anni ha cominciato a suonare? quanto ci impiega a scrivere una canzone? Quale è stato il suo primo strumento?- che tuttavia hanno dato modo all’istrionico compositore di raccontare qualche dettaglio della sua favola, diventata poi la realizzazione del suo personale sogno cino-americano, iniziata a tre anni quando non conosceva l’esistenza degli strumenti musicali e faceva musica battendo i piedi nel torrente del villaggio dello Hunan dove è nato («condivido con Mao lo stesso luogo di nascita»), e dove ascoltava solo le musica zen dei templi e il fluire dell’acqua del fiume.

«La natura come risorsa per la immaginazione», il comporre come meditazione: e i ragazzi, ma non solo, sono divertiti da un musicista che cita yin e yang, che sovverte la logica dichiarando che per lui 1 + 1 fa 1 e non 2 e che afferma di volere camminare nel mondo come il monaco sciamanico della musica.  Perché voglio essere un artista? si chiede e si risponde: per fare danaro, anche; per fare musica, certo. Ma sopratutto per parlare al reale, per comunicare.
E non c’è dubbio che comunicazione ci sia stata, durante la esecuzione della Passacaglia Secret of wind  and Birds la sera della consegna del Leone d’oro,  quando il teatro  alle Tese si è trasformato per circa un minuto in una foresta colma di suoni di uccelli. Era il file, registrato da Tan Dun utilizzando sei antichi strumenti tradizionali cinesi che imitavano i suoni degli uccelli:  scaricabile prima del concerto sui cellulari, è stato azionato dagli spettatori ad un cenno di Tan Dun. In quel poco prima, reggendo la statuetta del Leone d’oro e ringraziando la Biennale e molto americanamente sua moglie e i figli, ha svelato di essere nato in agosto  sotto il segno del Leone: «ma ora finalmente  sono anche un leone d’oro». Comunicazione. Bravissimo.

(foto dell’incontro di Tan Dun con gli studenti e con Ivan Fedele e Paolo Baratta, del concerto e della cerimonia di premiazione del Leone d’oro ©Andrea Avezzù) 

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