mass media e violenza sulle donne, dal punto di vista di lui

27 novembre 2017 di: Stefano Piazza

Il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, lodevole iniziativa culturale planetaria alla quale i mass media hanno dato in questi giorni adeguato (anche se forse non lo è mai abbastanza) risalto.

Tra pubblicità progresso, interviste ad esperte avvocatesse, spot su numeri di sostegno e servizi nei telegiornali, emerge un aspetto ricorrente, anzi probabilmente una sorta di costante: ogni messaggio e ogni ragionamento è rivolto alle donne. Donne come vittime intimorite che devono avere la forza di ribellarsi, uscire allo scoperto, denunciare, fuggire, chiedere aiuto. Non si può che non essere unanimemente d’accordo con tali sollecitazioni. C’è tuttavia un grande e a mia avviso ingiustificato assente: il carnefice. È come se si desse per scontato che il carnefice è carnefice e, in quanto tale, sia una sorta di entità immutabile, un po’ come i tornado statunitensi, quelli distruggono sempre nello stesso modo e sta alla gente imparare a difendersi. Tutto è quindi a carico della vittima, è lei che si deve ribellare, denunciare, fuggire, il debole deve diventare forte, mentre il carnefice fa il suo sporco lavoro.

Questa tendenza consolidata dei mass media mi ricorda un altro ambito dove governano le stesse logiche: la mafia. Anche in questo caso l’attenzione è sulla vittima, sui disgraziati omertosi che non hanno il coraggio di parlare dopo avere assistito a un omicidio, o a quei pavidi dei negozianti che non si ribellano al pizzo, ancora una volta sta al debole diventare eroe, mentre al più deplorevole mafioso del nostro tempo, gli si concede l’appellativo di “capo dei capi”, dedicando interi telegiornali alla sua morte. Un mafioso forse non può essere denigrato pubblicamente per paura di ritrovarsi una bomba sotto l’automobile, ma lo stesso vale per un misero uomo violento?

Da uomo, guardando una scena di violenza su una donna, la mia attenzione si concentra proprio sul carnefice, sulla sua miseria umana, sulla sua vigliaccheria, a lui vorrei rivolgermi. Così come vorrei scrivere su tutti i muri che Totò Riina non era il capo dei capi ma il capo dei barbari, un uomo infame e abbietto, vorrei scrivere che un uomo che violenta una donna, che la picchia, che la sottomette con la forza, non è degno di chiamarsi tale. È questo che, insieme ai numeri verdi per le vittime, si dovrebbe iniziare a scrivere su tutti i muri delle nostre città. Non proteggiamo queste misere persone con il silenzio, ma additiamo senza tregua il mostro come mostro e forse, con il tempo, qualcuno inizierà a vergognarsi e ci sarà qualche carnefice in meno.

 

 

 

9 commenti su questo articolo:

  1. Nadia Speroni scrive:

    Ecco una visione dei fatti dalla parte di l,ui ottima,idea fra tante voci anche una maschile, Stefano Piazza va al fulcro della storia di noi tutti “povera la vittima, ma grande il carnefice”

  2. Mario Torre scrive:

    Si è vero per quanti anni sentiremo parlare del capo dei capi? Non si sa più chi merita un’ovazione chi uno sputo, famigerato non vuol dire famoso!!!!

  3. Roliano scrive:

    Stefano la visione del fenomeno è centratissima ma purtroppo forse non si parla troppo del carnefice perché non fa odiens, frutto di un sistema mediatico che ci sta viziando i più sani principi. Non smettiamo mai di scandalizzarci e di denunciare tutto ciò che lede la morale e la verità.

  4. rossellacaleca scrive:

    E’ bello sentire una voce maschile che con efficacia sottolinea aspetti del “discorso” sulla violenza di genere meno evidenziati. Benvenute le parole, e le azioni, degli uomini contro la violenza sulle donne.

  5. Adriana Palmeri scrive:

    Condivisibile la visione distorta operata dai mass media, condivisibile anche quella del carnefice: “entità immutabile” e il carnefice ne ha cosapevolezza, ma è un ruolo cui non è disposto a rinunciare. Il vantaggio secolare che gli uomini hanno rispetto alle donne li ha resi tali. Sì, la violenza contro le donne è un problema maschile difatti abbiamo sempre sperato che ad ogni femminicidio ci fosse una risposta maschile: nelle piazze, nei luoghi di lavoro, in famiglia, ma ….
    Pur tuttavia, sebbene in ritardo alcune “entità immutabili” cominciano a interrogarsi infatti cominciano a muovere i primi passi associazioni maschili, una anche a Palermo. Ritengo, poi, sia necessaio educare bambini/e , fin dalla prima infanzia, alla parità di genere solo così possiamo sperare in un cambiamento culturale.
    Complimenti Stefano.

  6. Rita scrive:

    sono assolutamente d’accordo con Stefano, e saluto con gioia la sua presa di posizione,che forse
    è sempre più condivisa: molte le presenze maschili alla manifestazione di Roma, e non solo tra i giovani.

  7. Susanna Prio scrive:

    Mi è piaciuta la riflessione di Stefano Piazza, in particolare l’accostamento tra la violenza sulle donne e la violenza mafiosa, perpetrate entrambe da uomini, p’misere persone’ che la cronaca talvolta esalta o non condanna abbastanza.

  8. Giovanna Sciacca scrive:

    Condivido pienamente la tua riflessione che ha un valore aggiunto in quanto formulata con tanta passione da un uomo!
    E’ vero non basta aiutare, spronare, chiedere più forza alle vittime. Se è vero che le donne sono la metà del cielo, bisogna porre l’accento anche sull’altra metà.
    Il fenomeno della violenza sulle donne, come ogni altro tipo di violenza, presuppone una vittima e un carnefice e su ambedue, quindi, va posta la massima attenzione e vanno concentrati gli sforzi per analizzare, fronteggiare e sconfiggere questa piaga.
    Occorre concentrare maggiore attenzione sui carnefici anche in direzione delle dinamiche sociali e culturali che possono produrre quei comportamenti deviati, perchè in fondo siamo tutti il prodotto di quella millenaria evoluzione sociale e culturale dell’umanità che finora ha fatto da substrato e sostanzialmente “legittimato” questo stato di cose (violenza non sono solo gli episodi efferati e i femminicidi, ma violenza è anche quella spicciola e quotidiana che resta fuori dalle cronache). E’ quindi nell’ambito culturale che bisognerebbe investire di più, nella speranza di seminare bene e di ripulire il campo dalle “malerbe”.

  9. Ornella Papitto scrive:

    É vero, il carnefice è in secondo piano, la “scena” è della vittima che si è ribellata e ha detto “no”. Al carnefice non si deve dire “no”, pena la vita. Il potere che esercita sulla vittima è il potere che la vittima gli consegna, rinunciando alla propria volontà ed è lì la propria fine.
    I mass media che esortano a prendere coscienza, a rendersi consapevoli, solo una decina di giorni l’anno, fanno sempre troppo poco. È la vittima che deve emanciparsi ossia sottrarsi alla violenza, all’oppressione e all’oppressore. Solo la persona interessata può farlo, prima che si trasformi in vittima. Deve recuperare quel magnifico dono naturale: l’intuito. Fidarsi di sé stessa e non fidarsi e affidarsi al carnefice o all’aguzzino di turno. L’emancipazione non riguarda solo le donne ma sopratutto gli uomini, sopratutto adesso altrimenti torna ad essere una questione di genere ed invece è una questione dei generi.
    È vero, la mafia si impone con la sottomissione e la violenza, come il carnefice, e la sottomissione è fetida perché umilia e mortifica chi la deve subire e la violenza è infame perché tradisce il patto non scritto del rispetto della dignità dell’essere umano.
    Il mafioso o carnefice non è stato interessato dall’evoluzione della specie: essere vergognosamente selvatico, ferocemente selvatico. Da tenere a distanza di sicurezza.
    Grazie Stefano per il confronto. Grazie veramente.

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