una giornata dolorosa, ma speciale
Eravamo in 1.400, a Montecitorio, per la giornata internazionale della violenza contro le donne, provenienti da tutta l’Italia. Laura Boldrini, la terza carica dello Stato, ha voluto celebrare così il 25 novembre, riunendo le donne in un’occupazione simbolica della Camera dei Deputati. Una giornata dedicata all’ascolto, all’attenzione, alla denuncia, alle proposte e alle richieste di 17 donne chiamate a testimoniare le loro esperienze. Non solo violenza subita o che con la violenza hanno in qualche modo a che fare. Queste donne non erano in cattedra tra autorità e relatori, bensì sparse per l’aula, sedute accanto a noi. Così potevi essere accanto a Serafina Strano, la medica selvaggiamente percossa e stuprata in Sicilia mentre era in servizio, accanto alla vice questora di Palermo, alla nigeriana vittima della tratta, alla procuratrice aggiunta a capo del pool antiviolenza, alla giovanissima donna vittima di cyberbullismo, alla responsabile dei Centri Antiviolenza, alla giovane donna sopravvissuta al tentato omicidio.
C’era anche Antonella Penati, coraggiosamente presente per raccontare la sua che, ritengo, sia stata la più crudele delle esperienze: l’ex marito, per punirla, ha ferocemente ucciso il loro figlioletto di otto anni durante le ore di visita protetta consentita per legge. Pur provando un dolore senza fine nel sentire le loro atroci storie, queste donne coraggiose sono riuscite a trasmettere a tutte noi, attonite, la capacità di trasformare tanto dolore in forza, nella voglia di reagire. Sono state un importante tassello della ribellione, della speranza di una qualche giustizia o prevenzione che possa essere di supporto alle prossime generazioni di donne, vittime potenziali. Tutte all’unisono, hanno espresso gratitudine verso coloro che, in prima fila, lottano accanto a loro: l’UDI e tutti i Centri antiviolenza che le hanno aiutate ad uscire dal tunnel mortale dentro il quale si erano ritrovate. È, purtroppo, vero che a queste vittime nessun carnefice ha mai chiesto scusa, né mostrato pentimento, o risarcito in alcun modo per le ferite permanenti inflitte, e mai avrebbero voluto sapere che molti di essi oggi sono in libertà e beffardamente tentano ancora di incontrarle. Chiedono giustizia e certezza della pena, protezione per se stesse e per i loro figli/e, perché la violenza assistita, genera nuova violenza. Chiedono sostegno, aiuto. Chiedono protezione le dottoresse delle guardie mediche, spesso ubicate in posti reconditi delle province, e ospitate in sgabuzzini e non ambulatori.
«Agli uomini è chiesto di fare un passo in avanti, di uscire da una cultura che per secoli ha ritenuto le donne una proprietà», ha detto Laura Boldrini. Uccidere è un gesto volontario che non ha attenuanti. La paura di essere lasciato dalla compagna, tradito dalla moglie, la gelosia non sono motivi per uccidere. Gli uomini maltrattanti mal sopportano la parità di genere, si sentono minacciati, hanno paura di perdere i privilegi frutto di un arcaico patriarcato, perpetuare l’asimmetria garantisce loro un dominio sulla donna che non sono disposti a perdere.
Grazie, Adriana, per questa straordinaria testimonianza
conosco pure qualche maschio, attivamente impegnato in diverse organizzazioni etiche,
che trova naturale molestare una donna andata a fargli i lavori domestici!
spero non ce ne fossero anche in aula, o fra i manifestanti.