le donne e la pagina scritta

26 gennaio 2018 di: Gianna Sciacca

Poco tempo fa presso la casa delle donne di Palermo, in vista del bicentenario della morte di Jane Austen, pietra miliare della letteratura femminile, si è tenuto un interessante incontro sulla figura e le opere di questa scrittrice che, a ragione, viene definita da Anna M. Crispino “un pilastro del canone letterario occidentale”.

L’incontro ha sortito anche l’effetto di rinverdire il mio interesse per la scrittura femminile che già tanti (ahimè, proprio tanti) anni fa mi aveva fatto scegliere come oggetto della mia tesi di laurea una scrittrice siciliana allora non molto nota, Laura Di Falco, dalle cui pagine emergeva un sofferto percorso interiore di donna in cerca di sé stessa e di un reale affrancamento da convenzioni e vincoli stereotipati, ostinatamente persistenti nella società dei primi del novecento specie al sud.

Da allora sempre nelle mie letture di pagine femminili ho ritrovato nell’atto di scrivere della donna la valenza di uno strumento di restituzione del controllo della propria soggettività, un’operazione di ideale sottrazione al dominio maschile. In questo senso la scrittura ha rappresentato lo spiraglio attraverso cui, nei secoli, si è fatta strada l’autonomia intellettuale e spirituale delle donne, figurazione di ciò che si vorrebbe essere rispetto a ciò che si è.

La scrittura ha storicamente costituito un potente strumento di potere e, per ciò stesso, ha inevitabilmente determinato l’esclusione della donna dalla ufficialità di un sistema culturale universalmente riconosciuto. A lei, ancorché tema ricorrente dei componimenti degli uomini, a lungo è stato riservato (anche in questo campo!) il ruolo di mero oggetto dell’attenzione e della centralità maschile.

Strettamente connessa al ruolo subalterno, convenzionalmente codificato nei secoli, di custode della sacralità domestica, la storia di esclusione delle donne dall’ufficialità della scrittura e in ultima analisi dalla sfera della spiritualità, ci ha tramandato solo sporadiche ed eterogenee testimonianze scritte (la mitica Saffo o la Compiuta Donzella del 1200). Un arcipelago, come è stato definito, piuttosto che un continente con compiute e coerenti coordinate letterarie codificabili in un corpus organico, fatta eccezione per il comune denominatore della trasgressione dei canoni intellettuali maschili.

Fino al XVIII secolo le donne avevano scritto principalmente per se stesse, quasi furtivamente e nei ritagli di tempo ricavati faticosamente dalla propria “professione” di moglie, madre e custode del focolare domestico.

Una scrittura privata, clandestina non destinata ad assurgere ai fasti della pubblicazione e del pubblico apprezzamento, circoscritta nei recinti delle forme diaristiche o di lettere e memoriali, generi consoni all’introspezione come momento di ascolto della voce interiore, in antitesi al silenzio dell’esclusione dalla parola letteraria pubblica: furtivo incipit del futuro cammino di emancipazione e liberazione.

Alla piena comprensione dell’evoluzione di questo cammino, più che l’analisi del valore letterario di quei primi scritti giova l’indagine biografica di queste antesignane, il cammino di vita attraverso il quale ciascuna è riuscita, più o meno consapevolmente, a squarciare il velo che separava le tenebre dell’esclusione dalle rive dell’ufficialità, attraverso quella dolorosa terra di confine, ancora non del tutto esplorata, costituita dai generi della scrittura privata e clandestina in cui affonderanno le radici della futura letteratura femminile.

Ancora nel XIX, come sottolinea Virginia Woolf, le donne non erano incoraggiate a diventare artiste, al contrario, venivano disprezzate, schiaffeggiate, ammonite. Perfino coltivare la passione per la lettura era un gesto arduo e quasi colpevole rispetto ai ritenuti limiti della natura femminile, rigorosamente vincolata da un canto alla corporeità, gestita dal genere maschile in funzione della comodità propria e della progenie e dall’altro all’incorporeità dell’idealizzazione assoluta: o mero corpo o mero spirito, o angelo o concubina.

Già nel XVIII secolo, tuttavia, aveva cominciato a sbocciare la scrittura femminile e, alla fine del secolo, si registrava una nutrita galleria di figure femminili approdate ufficialmente al successo editoriale, pur se a prezzo di una radicale rottura, non di rado lacerante, delle convenzioni socio-culturali dell’epoca e, ancor più, del corso della propria esistenza.

Ne conseguirà uno sforzo di ricostruzione del nuovo sé, terreno fertile del pionieristico slancio verso l’alba di una nuova identità collettiva femminile, sempre più consapevole della conquistata possibilità di detenere, insieme al genere maschile, l’esercizio del confronto e della condivisione universale attraverso la pagina scritta.

La vera conquista sta, come sottolinea bene Wirginia Woolf, nella riscoperta della vita comune che è l’essenza della vita vera, in antitesi con le piccole vite isolate che viviamo come individui.

Dall’avvio della frantumazione dei ruoli tradizionali della donna e dalle nuove istanze di emancipazione e partecipazione sociale scaturiva inevitabilmente la costruzione di nuovi modelli, alternativi e più funzionali anche sul piano economico. Diventa così essenziale la ricerca di un’occupazione per assicurarsi l’autosufficienza rispetto alla tutela dell’altro sesso: l’indipendenza intellettuale non può essere disgiunta da quella economica.

Scrittura e scelte di vita diventano per le donne due facce di una stessa medaglia, assioma di cui fu strenuamente sostenitrice Virginia Woolf che in “Una stanza tutta per sè” così si interrogava sulle “condizioni necessarie alla creazione di un’opera d’arte” e sull’effetto della mancanza di autonomia economica sulla scrittura di un genere come il romanzo: “se ognuna di voi ha cinquecento sterline e una stanza tutta per sé; se abbiamo l’abitudine della libertà e il coraggio di scrivere esattamente ciò che pensiamo […] se guardiamo in faccia il fatto, perché è un fatto, che non c’è alcun braccio a cui appoggiarci, ma che camminiamo da sole e che dobbiamo essere in relazione col mondo della realtà e non solo col mondo degli uomini e delle donne, allora l’opportunità si presenterà…”.

 

 

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