misurare le distanze
Osservare le azioni compiute intorno a noi è fondamentale per “tentare” di orientarci meglio, e osservando le azioni ho individuato una differenza che sottopongo a un confronto perché, senza feedback, senza una restituzione, provo la fredda sensazione di chi parli al vento.
La differenza è tra chi “prende le misure” e chi “misura le distanze”.
Lo sgomento che provo con chi “prende le misure” è profondo perché la mia mente corre subito a chi prepara la bara quando la nostra vita è conclusa.
Ma nelle relazioni umane “prendere le misure” vuol dire osservare le azioni dell’altro per poi buggerarlo a proprio favore, per il proprio tornaconto, a discapito dell’altro soffocato da un rapporto di potere, asimmetrico, rapporto egoista, avaro, prepotente anche se ben nascosto da forme accettabili, tanto accettabili che chi non coglie la propria condizione di schiavitù, accetta il rapporto, pur percependo le disarmonie, senza respingerlo, rapporto fondato sul “tornaconto” dell’uno sull’altro.
Altro è “misurare le distanze”. Quante volte incontrando una persona sentiamo che le distanze sono minime, tanto da arrivare a sentire il loro calore umano? Oppure distanze massime, tanto da percepire la loro freddezza? In questo caso non subiamo la misura dell’altro ma tentiamo di capire quale risorsa noi potremmo essere per l’altro, e quale risorsa l’altro potrebbe essere per noi. Nel momento in cui mi avvicino all’altro, senza “tornaconto”, so che sto arando il campo della “convenienza”. Questa parola ha un significato magnifico perché indica la direzione che deve convenire ad entrambi, perché occorre raggiungere un equilibrio, magari faticoso, ma conveniente per la relazione umana. In questo caso osservo la simmetria, l’altruismo, la generosità, la potenza della relazione che rinforza entrambi.
“Convenire: scegliere, tra le varie possibilità, quella migliore, cioè più conveniente sotto l’aspetto sia logico sia morale” e, aggiungerei, etico.
Occorre inoltre stare attenti anche ad evitare la sovrapposizione dell’uno sull’altro e misurare sempre la “distanza di sicurezza” perché rischiamo di farci sovrastare, facendoci opprimere senza una chiara volontà. Se, invece, alcuni vogliono farsi opprimere, stanno già “prendendo le misure” per preparare la prigione o la bara nella quale rinchiudersi, e rinchiuderci con il nostro consenso. Chi opprime e chi si fa opprimere dall’aguzzino, è legato dalla stessa catena, quella del possesso: posseduti dal possesso. Entrambi prigionieri l’uno dell’altro. Purtroppo. E addio Libertà.
Cara Ornella, leggere il tuo articolo mi ha fatto tornare in mente il film “la giusta distanza” che allude all’atteggiamento che dovrebbe sempre tenere un giornalista, né troppo distaccato né troppo coinvolto emotivamente. Entrambi atteggiamenti che portano fatalmente a fare dei gravi errori di giudizio e che impediscono di vedere la verità nelle pieghe oscure in cui a volte si nasconde. Vorrei aggiungere che in ogni rapporto umano la giusta distanza è quella capace di com-prendere entrambi
L’approccio con gli altri è sempre configurabile in tre tipologie: si può essere bambini,e, quindi, poco attenti alle esigenze e ragioni del prossimo, si può essere genitoriali, e, quindi, convinti di dover e poter dare consigli,dictat o o giudizi, si può essere adulti e, quindi, essere alla giusta distanza, avere maturità e capacità di autocontrollo tali da affrontare ogni situazione con saggezza ed equilibrio…rispettare la libertà degli altri richiede una grande lavoro su se stessi!