Sanremo, chi è Koltès, il drammaturgo maledetto che ha ispirato il monologo di Favino dal “Corriere della Sera” del 12.02.18

12 febbraio 2018 di: Maurizio Porro

Anzi chi era costui, perché lo scrittore e drammaturgo lanciato da Chéreau e tuttora molto rappresentato, è morto di Aids a Parigi nell’89, a soli 41 anni. Eppure quel monologo uscito dalle tenebre ha sedotto gran parte dell’audience tv, che non è una platea di teatro. Favino recita in questi mesi Koltès sui palcoscenici italiani (leggi la recensione di Franco Cordelli), speriamo la prossima stagione sia a Milano, dove da martedì 13 va in scena all’Out Off il suo titolo più noto «La solitudine dei campi di cotone» scritto nel 1987 ed ora diretto da Trifirò con Cordella e Di Giacomo. Koltès fa parte di quei ribelli, maledetti del teatro che pur in pochi anni hanno lasciato un segno indelebile anche perché il loro testimonial è stato raccolto da molti (fra i critici e studiosi, Franco Quadri e lo scultore Arnaldo Pomodoro). Basta citare per l’Italia Ferdinando Bruni anche traduttore all’Elfo, Branciaroli, Fantastichini, Santamaria e registi come il citato e rimpianto Chéreau che fu il primo sponsor del talento, oltre a Peter Stein, Sciaccaluga, Chérif.

Amante di grandi letterati anche su fronti opposti, da Gorkji a Salinger, Koltès ebbe il suo debutto nel ’77 al Festival di Avignone col monologo «La notte poco prima della foresta», proprio il testo (arrivato in Italia nel 2001) che Pierfrancesco Favino ha voluto rendere noto in tv: «Del resto abbiamo tutti paura che se ti muovi ti sparano» ha commentato. La storia è quella di un giovane «straniero» che cerca di trattenere uno sconosciuto incontrato per caso raccontandogli la storia di una pericolosa periferia metropolitana, tema ricorrente nelle opere di questo autore, specie nella sua più nota «Nella solitudine dei campi di cotone» dove una vittima e un carnefice si scambiano di continuo i ruoli. Koltès parla per metafora, un po’ come l’inglese Pinter anche se con altri parametri, ma è molto facile capirlo, andarci dentro: ci sono spesso due personaggi che contrattano qualcosa che parte dal materiale e finisce con l’essere invece un bene spirituale, metti l’amore. Koltès non offre teoremi, non ha soluzioni né rivelazioni, non presenta il conto, la sua passione sta nel risvegliare emozioni e domande sul bisogno di stare insieme e di accettare l’Altro, chiunque sia.

Ridurre tutto ciò a strumento di propaganda elettorale, come alcuni hanno già fatto, è squallido e da ignoranti. Favino con Koltès ha mirato più alto, ha parlato della solitudine contagiosa per tutti ad ogni latitudine, tanto che mentre recitava, con un impeto autobiografico da Actor’s Studio (lui che poi è un brillante per natura…), aveva le lacrime agli occhi. Nel repertorio di Koltès (due anni fa la scuola del Piccolo di Milano ha recitato benissimo come saggio finale un mix dei suoi testi, regia di Giampiero Solari) ci sono altri titoli, come “Combattimento di negri contro cani» e «Roberto Zucco» ispirato a un atroce fatto di cronaca, pure questi titoli presenti nelle locandine.

Commenta questo articolo:







*
AdvertisementAdvertisementAdvertisementAdvertisement