Oltre il mito, l’opera di Frida Kahlo
«Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni».
Celebrata come icona femminile dell’arte del novecento, Frida Kahlo artista messicana, racconta tramite i suoi dipinti e la ricca collezione di fotografie che la ritraggono fin da bambina, la vitalità, la gioia e la sofferenza di sentimenti e fisica che ha sublimato e costretto la sua vita.
Al Mudec di Milano è in atto la mostra che esprime l’energia straordinaria di una pittrice provata. La storia di questa donna è tragicamente unica e speciale. Affetta da spina bifida, viene curata come sofferente da esiti di poliomielite. Da ragazza, a 18 anni, rimane vittima di un incidente, l ‘autobus sul quale viaggiava si scontra con un tram. Le conseguenze per Frida saranno tremende: la colonna vertebrale spezzata in tre punti, collo, femore e gamba destra fratturate. Subì 32 interventi chirurgici. Dimessa dall’ospedale visse anni stesa con il busto ingessato, riuscendo comunque a dipingere, tramite uno specchio collocato sul soffitto sopra il letto, se stessa: l’unico soggetto che meglio conosceva nella solitudine di quel tempo.
Manifestò comunque e sempre una personalità e uno spirito indipendente molto forte, decisamente passionale, rifiutando ogni convenzione sociale, affermando la sua “messicanità” e la perseverante voglia di gioia. L’incontro e la dannazione della sua esistenza si chiamò Diego Rivera, pittore illustre dell’epoca. Se ne innamorò perdutamente e nel ’29 lo sposò. Seguirono tradimenti continui, abbandoni, ritorni, numerosi amanti di ogni sesso fino alla rottura definitiva causata dalla relazione di Diego con la sorella di Frida, Cristina. Nel 1940 si risposarono. Amore e dannazione, sentimenti ben rappresentati nel doppio autoritratto ”Le due Frida” con uno sdoppiamento: a sinistra la Fridavestita di bianco, a destra la Frida colorata con indosso gli abiti della tradizione messicana di Tehuantepec. Le due siedono accanto ma non si guardano, si tengono per mano e sono legate da una vena che connette il cuore vivo, dal colore rosso acceso, all’altro impallidito. L’arteria principale è tagliata da una pinza chirurgica che sembra una forbice, il sangue zampillante macchia il vestito bianco. L’artista dipinge il suo dolore, il suo mondo, la sua vita, l’abbandono devastante di Diego è esplicito.
Gli autoritratti sono espressione di sofferenza ma anche di immenso desiderio di vivere al massimo ogni aspetto della vita, ispirati sempre all’arte popolare messicana e alle tradizioni precolombiane. Colorati, tristemente allegri, in compagnia delle sue scimmiette, del gatto, dell’uccellino, dei pappagalli.
La mostra colpisce e ti rimane dentro. Evidenti i contatti, nell’evolversi della personalità, con le avanguardie europee, in particolare il surrealismo e con la radice messicana oltre all’impegno politico. La suggestione degli sguardi, le incredibili sopracciglia, il corpo germogliante sono frecce che colpiscono il cuore come quelle che colpiscono il cervo da lei dipinto, che è lei stessa, dolcezza, fragilità, orgoglio.
Lei ce l’ha fatta, a risorgere ogni volta, dopo le cadute negli immensi burroni della malattia, dell’amore tradito, della vita faticosa e logorante.
Ah Frida!!! Favolosa Frida anche Palermo parla proprio di lei